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recensione di Gobetti, N., L'Indice 1998, n. 6
A distanza di quasi vent'anni dalla pubblicazione del suo primo libro ("Ain't I a Woman: Black Women and Feminism", 1981), esce per la prima volta in Italia una raccolta di saggi della teorica e scrittrice africana-americana e femminista bell hooks. Nei dieci testi riuniti in questa antologia, tratti da alcuni dei suoi libri più recenti , bell hooks si interroga sul complesso articolarsi delle agende politiche del femminismo e del movimento dei neri e sull'intersecarsi delle rappresentazioni culturali della razza con quelle del sesso. Prendendo spunto indifferentemente da fatti di cronaca e film, video musicali e avvenimenti quotidiani, libri e ricordi, trasmissioni televisive e servizi fotografici, bell hooks descrive sempre lo stesso meccanismo: da un lato il manifestarsi della "pervasiva politica suprematista bianca", sessista e razzista, dall'altro i tentativi di resistenza e opposizione delle donne nere.
Leggendo ora questi testi tradotti, non mi stupisco del ritardo con cui bell hooks viene pubblicata in Italia. È difficile infatti, scorrendo le sue pagine, superare il senso di profonda estraneità trasmesso dal linguaggio e dal procedere dell'argomentazione. Abituale nell'ambito della critica culturale statunitense, la compresenza di uno stile quasi parlato, concreto e ben fondato sull'esperienza personale (la nonna, le sorelle, gli amici, la casa) e di un vocabolario spesso astratto e carico di connotazioni poco esportabili lascia, una volta tradotto in italiano e allontanato dal contesto originario, il senso di qualcosa di straniero e un po' ostico. È difficile inoltre lasciarsi trascinare da una strategia discorsiva che ossessivamente si avvita su se stessa, tornando all'infinito sugli stessi luoghi teorici - il razzismo, il sessismo, le catene, i padroni, la resistenza, l'opposizione - e liquidando senza tanti complimenti questioni complesse e ambigue (in primo luogo quella dell'articolazione tra desiderio e potere).
D'altronde le stesse questioni affrontate sono lontanissime dalle abitudini mentali italiane. Soprattutto, si sente estraneo il problema della razza. Parlando dell'alterità, siamo soliti interrogarci sulle differenze culturali, religiose, etniche, oppure sulle discriminazioni sociali ed economiche, ma il colore della pelle non è mai il punto focale, non è da lì che facciamo passare il confine tra noi e gli altri. Anzi, "razza" ci sembra una brutta parola, che è preferibile non utilizzare, che abbiamo rimosso con gran disinvoltura.
È in questo che il libro di bell hooks ci riguarda. In un paese in cui le "coppie miste" non sono più una rarità e un gran numero di uomini bianchi ha l'abitudine di comprare le prestazioni sessuali di donne nere, "Elogio del margine" ci ricorda che "la razza conta"; un'affermazione che però, per essere presa sul serio e non solo contemplata come un curioso esotismo, mi sembra richiedere un lavoro di traduzione e interlocuzione ben più problematico di quello intrapreso finora.
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