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Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche
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Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche - Maurizio Bettini - copertina
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Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche

Descrizione


Duemila anni di monoteismo ci hanno abituato a ritenere che Dio non possa essere se non unico, esclusivo, vero. Al contrario, il politeismo antico prevedeva la possibilità di far corrispondere fra loro dèi e dèe appartenenti a culture diverse (la greca Artemis alla romana Diana, l'egizia Isis alla greca Athena), ovvero di accogliere nel proprio pantheon divinità straniere. Questa disposizione all'apertura ha fatto sì che il mondo antico non abbia conosciuto quella violenza a carattere religioso che invece ha insanguinato, e spesso ancora insanguina, le culture monoteiste. È possibile attingere oggi alle risorse del politeismo per rendere più agevoli e sereni i rapporti fra le varie religioni?
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Dettagli

2014
3 aprile 2014
155 p., Brossura
9788815250971
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Indice

Indice

Introduzione. Gli dèi in esilio

I. Il sacrificio del presepio e le bombe alla moschea
II. Statuette di fine d'anno. Animali, pastori, Re magi
III. Statuette di fine d'anno. Sigilla, Sigillaria e Compitalia
IV. Una vita di statuette. Il larario
V. Non avrai altro dio
VI. Tradurre gli dèi, tradurre Dio
VII. Paradossi grammaticali: il nome di Dio
VIII. L'interpretatio degli dèi
IX. Il politeismo, curiosità e conoscenza
X. I monoteismi sarebbero forse dei politeismi mascherati?
XI. Tolleranza vs. interpretatio
XII. Il politeismo come linguaggio
XIII. Dare cittadinanza agli dèi
XIV. La lunga ombra delle parole
XV. Il crepuscolo della scrittura

Appendici
1. Tolleranza e intolleranza religiosa nel mondo antico
2. Venture e sventure di paganus

Riferimenti bibliografici
Indice dei nomi e dei personaggi

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liliana
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elogio del politeismo

E' un libro molto interessante da leggere. L'autore dopo aver spiegato la teoria di J. Assman sulla distinzione mosaica, va oltre mostrandoci come i tre monoteismi hanno una loro conflittualità sia interna che esterna. Ma non solo con l'idea di un Dio senza nome, ma anche con le stesse definizioni delle persone che non credono chiamandoli isolatri, pagani, politeisti, termini che non avevano un senso nelmondo greco-romano. E mentre i politeismi si basano su riti che, per non offendere nessuna religione, accettano anche gli dei dei popoli conquistati. monoteismi si basano su libri scritti o ispirati dal loro Dio. Su queste basi è difficile pensare, almeno per ore, anche solo che i monoteismi possano anche solo superare le differenze tra religioni

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Luciano Pasqualini
Recensioni: 5/5

A differenza della filosofia, del teatro, dell'arte, della forma politica, non vi è più traccia, oggi, del politeismo antico. Per questa eclissi, certamente ha giocato un ruolo decisivo il cristianesimo che ha reso come superato quella religione. Il “quadro mentale” che ci offre, però, il politeismo insegna all'uomo moderno ad essere meno esclusivo, come fa il monoteismo, e al rispetto delle fedi altrui e delle stesse altre divinità diverse dalle proprie tradizioni culturali. Un punto di particolare interesse è rappresentato dalla dimostrazione che il conflitto a carattere religioso non trova spazio in un contesto culturale politeistico, il quale, anzi, cerca di assimilare anche gli dei degli altri. Credo che proprio questo approccio politeistico ci possa consentire di superare ogni conflittualità, educandoci al concetto del rispetto e cittadinanza di ogni forma del divino.

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luisa r.
Recensioni: 5/5

Piccolo grande libro, il cui filo argomentativo non si perde mai, anche se la trattazione è supportata da moltissimi dotti riferimenti, che conduce il lettore ad una approfondita meditazione sulla tolleranza, termine spesso non sufficientemente compreso - prima ancora che applicato - nelle società contemporanee. La ‘saggezza degli antichi’ non é un vuoto topos in questo libro ma un utile riferimento per il presente: il confronto tra gli usi religiosi degli antichi e i successivi monoteismi non si risolve in un dotto esercizio di stile ma, al contrario, suggerisce al lettore riflessioni profonde sul modo di pensare dei moderni, forgiato, nostro malgrado, da una visione monoteistica che va al di là del puro sentire religioso.

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Voce della critica

  Quando si è posti di fronte alla fatidica domanda "a che serve studiare l'antichità?", in genere per rispondere si fa riferimento a un valore propedeutico verso l'apprendimento delle lingue (a partire da quella italiana), del diritto, della filosofia; sempre che non ci si voglia avventurare tra le sabbie mobili delle "radici culturali", o non si decida di troncare la discussione con il luogo comune, caro a generazioni di insegnanti, che lo studio delle lingue classiche deterrebbe il prezioso ma forse un po' riduttivo ruolo di "palestra mentale". Si tratta insomma di una consolidata apologetica che, al di là dell'effettiva validità delle sue argomentazioni, risulta comunque basata su un senso di utilità molto vago e spesso ben poco concreto. Per questi motivi è doppiamente sorprendente l'approccio che Bettini ha scelto di adottare nella sua ultima pubblicazione: non solo, infatti, ha deciso di mettere in luce il "valore pratico" (cash-value, nella terminologia di William James) dell'antichità, ma si è concentrato su una delle costruzioni culturali del mondo classico apparentemente più obsolete e distanti, quella della religione. Per individuare i tratti salienti sui quali incentrare la propria riflessione sul politeismo antico (termine neutro preferito al vagamente dispregiativo "paganesimo" coniato dai cristiani), Bettini impiega in modo nuovo uno dei più collaudati strumenti dell'antropologia, quello della comparazione tra costumi e usanze di culture lontane nel tempo e nello spazio. Il confronto, infatti, in questo testo non è adoperato per scovare parallelismi e tratti comuni, come al tempo di James Frazer, quanto piuttosto per evidenziare differenze tra pratiche apparentemente analoghe. Prendiamo il caso del presepe: sarebbe facile dire che anche gli antichi conoscevano pratiche simili, che in ogni casa romana c'era un larario, un altarino che ospitava le statuette di divinità familiari note come Lares. Se si guarda con attenzione, in realtà, emerge un enorme divario. A nessuno (a meno di non pensare a casi estremi di ecumenismo) verrebbe in mente di inserire nel presepe statue di figure divine non attinenti alla tradizione cristiana; nei larari degli antichi, invece, finivano frequentemente le divinità "degli altri". In quello dell'imperatore Alessandro Severo (III secolo d.C.), per esempio, si trovavano fianco a fianco le immagini di Cristo, Abramo e Orfeo. Da ciò, e da tutta una serie di altri elementi, emerge una constatazione fondamentale: il politeismo antico, nella sua "capacità di pensare in modo plurale ciò che ci circonda", è una religione inclusiva, curiosa verso tutti gli dèi e pronta ad accettarli nel proprio sistema: basta pensare al meccanismo dell'interpretatio,l'equiparazione di una divinità straniera a una presente nel pantheon romano, per la quale Afrodite era automaticamente "convertita" in Venere, Zeus in Giove e così via. I monoteismi moderni sono invece rigidamente esclusivi: il loro dio, come si dice nell'Esodo, "è un dio geloso" e non tollera rivali. Da qui l'intolleranza religiosa, la demonizzazione delle divinità degli altri e dunque di chi le venera: un atteggiamento che sostanzialmente era estraneo alla forma mentis di Greci e Romani. Il politeismo antico come una sorta di zona di libero scambio religioso, dunque? Non proprio così: Bettini sottolinea come in realtà a Roma, perché a un dio venisse concessa la "cittadinanza", fosse necessaria una ratifica ufficiale. C'era infatti la precisa consapevolezza, per dirla con Varrone, che è e dev'essere la civitas a creare i culti: ed è proprio questo, osserva l'autore, uno degli aspetti sui quali gli antichi avrebbero molto da insegnare in un'epoca, come la nostra, nella quale si esaltano tutta una serie di appartenenze individuali (tra cui naturalmente anche quelle religiose) a completo discapito dell'appartenenza civica. È solo una delle riflessioni, sempre stimolanti e illuminanti, che Bettini propone nel percorso, limpido e molto godibile, del suo Elogio del politeismo. Il cash-value della religione antica, dunque, è costituito da una serie di proposte concrete per ripensare molte nostre concezioni che, volenti o nolenti, abbiamo assorbito dalla dimensione monoteista nella quale ci troviamo immersi. Si tratta di un bottino stimolante e nient'affatto scontato, che mostra quale sia la reattività e l'abrasività degli antichi, intesa come capacità di mettere in crisi convenzioni e cristallizzazioni, quando dialoghiamo con loro.   Tommaso Braccini  

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Conosci l'autore

Maurizio Bettini

1947, Bressanone

Classicista e scrittore, insegna Filologia classica all'Università di Siena dove ha fondato il Centro Antropologia e Mondo antico. Per Einaudi ha pubblicato i romanzi In fondo al cuore, Eccellenza (2001), Le coccinelle di Redún (2004), Con l'obbligo di Sanremo (2013), oltre a numerosi saggi, tra cui i celebri Il ritratto dell'amante (1992), Voci. Antropologia sonora del mondo antico (2008), Vertere. Un'antropologia della traduzione nella cultura antica (2012), Con l'obbligo di Sanremo (2013), A che servono i Greci e i Romani? (2017) e Il mito di Medea (2017).Nel 2014 pubblica per Il Mulino Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche, cui seguono Il grande racconto dei miti classici (Il Mulino, 2015) e Radici. Tradizioni, identità, memoria...

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