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Non si ha ancora un’idea chiara, coerente e globale di come funziona la globalizzazione, e di come si può fare funzionarla meglio. Un libro di Jagdish Bhagwati, professore di Economia alla Columbia University di New York, offre una analisi approfondita del fenomeno, difendendo la globalizzazione dai suoi critici e promuovendone una visione ben più ottimistica. Dopo aver considerato le implicazioni sociali della globalizzazione, del commercio e del ruolo delle multinazionali, Bhagwati arriva alla conclusione che in via generale queste implicazioni sono vantaggiose, che la globalizzazione ha già adesso un volto umano. La globalizzazione fa bene alla società, non solo all’economia; promuove la parità tra i sessi e la riduzione della povertà. Il commercio fa aumentare la crescita economica, e la crescita riduce la povertà. La globalizzazione riduce la povertà nei paesi poveri. Studi autorevoli mostrano come negli ultimi venti anni la disuguaglianza globale è sostanzialmente diminuita. Le economie orientate verso l’esterno sono in grado di specializzarsi e di raggiungere una maggiore efficienza, traendo maggiori vantaggi dal commercio. La crescita è un potente meccanismo che rende meno astratta e virtuale la legislazione sociale destinata a sollevare le condizioni dei poveri e delle comunità periferiche e marginali. Bhagwati respinge l’accusa secondo cui la globalizzazione è imposta dalle istituzioni economiche e dai trattati commerciali. La liberalizzazione dei commerci è invece stata liberamente accettata dai paesi che hanno ritenuto vantaggioso abbandonare un protezionismo penalizzante. Le multinazionali non sono la causa dei bassi livelli salariali, ma li combattono, dato che fanno aumentare la domanda di manodopera nei paesi poveri, che porta ad una crescita dei salari. Il libro di Bhagwati, equilibrato, convincente ed esauriente, può essere letto anche da un pubblico non specialistico, ed è stato considerato come il libro di riferimento sulla integrazione economica globale.
Recensioni
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Da un elogio della globalizzazione (o meglio una difesa della globalizzazione, come recita il titolo originario del saggio), scritto da un economista di fama mondiale come Bhagwati, ci si attenderebbe qualcosa di diverso da una semplice risposta agli argomenti dei cosiddetti no global, redatta nello stesso stile. In altre parole, stupiscono le sessantasette pagine della prima parte: Fronteggiare l'antiglobalizzazione. I critici della globalizzazione sono, secondo l'autore, imbevuti della decostruzione di Derrida e dell'antiliberismo di Foucault e Bourdieu. Dani Rodrik, insegnante a Harvard, è un economista "contrario alla globalizzazione", Ralph Nader è sovvenzionato da potenti gruppi lobbistici protezionisti, e le ong (il Vaticano compreso: "una delle più venerate organizzazioni no profit") spesso predicano male e razzolano peggio. Può il lettore rassicurarsi pensando alle restanti trecentocinquanta pagine? In esse vengono in effetti affrontati, annientando con sicurezza e competenza i timori dei critici, i diversi problemi che solitamente ricadono sotto l'etichetta di globalizzazione: dal lavoro minorile al commercio, dalla povertà all'operato delle imprese multinazionali. La tesi: la globalizzazione ha un volto umano, e le questioni più delicate devono essere risolte accelerando la convergenza di integrazione sociale e integrazione economica, promuovendo al contempo le istituzioni di una buona governance e osservando i giusti tempi. Ad attirare l'attenzione non sono tuttavia le soluzioni proposte (non nuove, ma trattate con una certa originalità), quanto l'analisi del "buono" della globalizzazione. Analisi dalla quale si ricava, oltre al riconoscimento dell'impegno sincero profuso da Bhagwati nel libro e nella sua carriera di consigliere dei principi, l'impressione che sia forse l'umiltà la qualità assente dall'economia di oggi: rispondendo ai critici della globalizzazione, l'autore tende a innalzarla non a panacea, ma a spiegazione onnicomprensiva della complessa realtà del mondo attuale: "tra l'altro, ci si mette anche la politica"; "non c'è alternativa che tenga"; ci vuole "la ragione" (non bastano le passioni). La globalizzazione dei suoi sostenitori sembra non concepire l'utilità di considerare il mondo come gioco di interpretazioni e differenze, nemmeno quelle che oggi molti economisti intravedono come ostacolo imprescindibile alla realizzazione di un Washington Consensus world. L'economia non può, nemmeno nella sua forma globalizzata, cogliere tutti gli aspetti del reale. Occorre anche altro: dalla tenacia dei no global (cui Bhagwati non riconosce il merito di averci avvicinato al one world di Peter Singer) agli strumenti della politica e alle istanze sociali. Più idee e sperimentazione, insomma, meno consenso e meno (paradossalmente?) teoria economica pura.
Mario Cedrini
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