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Cassata, Francesco, Julius Evola,
Ferraresi, Franco, Minacce alla democrazia, Feltrinelli , 1995
Evola, Julius, Julius Evola e le avanguardie tra Futurismo Dada e Alchimia, Fondazione Julius Evola, 1988
Evola, Julius, Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara 1919-1923, Fondazione Julius Evola, 1991
Evola, Julius, Scritti sull'arte d'avanguardia, Fondazione Julius Evola, 1994
Germinario, Francesco, L'altra memoria, Bollati Boringhieri , 1999
De Turris, Gianfranco, Elogio e difesa di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, 1997
Centro "Furio Jesi" (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis, 1994
Evola, Julius, La tragedia della Guardia di Ferro, Fondazione Julius Evola, 1996
segnalato in rassegna bibliografica di Cassata, F. L'Indice del 1999, n. 12
In Minacce alla democrazia (Feltrinelli, 1995, p. 354), Franco Ferraresi indicava, fra i principali contributi di Evola alla formazione dell'ideologia della Destra radicale, l'elaborazione del vittimismo nel complesso di superiorità dell'"uomo differenziato". Efficace sul piano dell'azione politica della Destra radicale, tale retorica della marginalità, proiettata nell'ambito dell'indagine storiografica, secondo un'operazione tipica della lettura neofascista di Evola, rischia, invece, di generare un cono d'ombra, con cui si nascondono, in modo strumentale, due importanti fenomeni: da un lato, il numero consistente di celebrazioni dedicate alla figura di Julius Evola: dai convegni, alle mostre, alle iniziative editoriali, come la recente ripubblicazione dell'intera opera evoliana da parte delle Edizioni Mediterranee, in versione "critica" (con introduzioni di Giorgio Galli, Franco Cardini, e altri); dall'altro lato, il recupero di ufficialità conosciuto dal pensiero evoliano al di fuori degli ambienti della Destra radicale, testimoniato dagli studi di Furio Jesi e Franco Ferraresi fino ai più recenti, di Pierre-André Taguieff, Michela Nacci, Mauro Raspanti, oltre che da alcune singole iniziative, quale l'introduzione del nome di Evola nella Garzantina di Filosofia.
Un'analisi storiograficamente corretta del pensiero evoliano dovrebbe, dunque, in primo luogo, superare la retorica anacronistica della ghettizzazione. La caratteristica forse più interessante di questo pensiero consiste nel tentativo di fondere filoni culturali assai eterogenei in un discorso unitario, basato essenzialmente sulla costruzione del modello etico-antropologico ben definibile dell'uomo impegnato nella ricerca dell'assoluto. L'adesione giovanile di Evola al dadaismo, ben illustrata dal catalogo Julius Evola e l'arte delle avanguardie tra Futurismo, Dada e Alchimia (Fondazione Julius Evola, 1998), da Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara, 1919-1923 (Fondazione Julius Evola, 1991) e da Scritti sull'arte d'avanguardia (Fondazione Julius Evola, 1994), poggia sull'interpretazione di Dada in termini di esaltazione dell'Io, lanciato verso l'assoluta affermazione di sé.
Già in tale ambito, dunque, si prefigura quella ricerca di assolutezza centrata sulla volontà di potenza, che sarà all'origine della teorizzazione filosofica evoliana successiva, da Saggi sull'Idealismo magico (1925) a L'uomo e il divenire del mondo (1926 ), fino a Teoria e Fenomenologia dell'Individuo Assoluto (1927-1930). Resa più completa dalla recente pubblicazione degli scritti sulla rivista L'Idealismo realistico, 1924-1928 (Antonio Pellicani Editore e Fondazione Julius Evola, 1997) e del carteggio Evola-Croce-Laterza (La Biblioteca esoterica, carteggi editoriali 1925-1959, Antonio Pellicani Editore e Fondazione Julius Evola, 1997), la produzione filosofica evoliana si configura come un singolare intreccio di idealismo e di esoterismo, nella misura in cui deduce dai temi dell'ascesi e della trascendenza, ricavati dalla meditazione tantrica e buddhista, la possibilità del superamento dell'opposizione soggetto/oggetto e l'idea di una dimensione totale dell'essere, di un modello umano che, dal dominio di sé, perviene al dominio dell'esterno. Nella teoria dell'Individuo Assoluto e nella concezione antiuniversalistica, elitaria e aristocratica del taoismo, del tantra, del buddhismo zen, si possono individuare, rispettivamente, la base ontologica e quella esoterico-orientalistica della dottrina politica evoliana, inquadrata, a partire dagli ultimi anni venti, all'interno di una metafisica della Tradizione e di una visione decadente e antiprogressista della storia di matrice guénoniana (Evola traduce La crisi del mondo moderno di René Guénon nel 1937 e Il tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler nel 1957). Nel passaggio dal piano filosofico a quello politico, l'Individuo Assoluto s'incarna in figure tipologiche, come l'"ariano" negli anni trenta-quaranta, l'"uomo fra le rovine" negli anni cinquanta, l'uomo dell'"apolitia" negli anni sessanta. A fare da trait d'union è il modello antropologico del "maschio-soldato", portatore di un'etica violenta, fondata sui valori tradizionali dell'onore, della fedeltà, dell'autosacrificio, del distacco interiore. In questo legame, il tema dell'etica guerriera - punto d'intersezione del "realismo eroico" jüngeriano, del codice samurai, dell'etica hindu e della jihad - e la figura del "soldato politico" si configurano come nucleo argomentativo centrale della riflessione di Evola, tanto da rappresentare uno dei suoi lasciti più importanti nei confronti dell'immaginario neofascista (vedi Francesco Germinario, L'altra memoria, Bollati Boringhieri, 1999) e del radicalismo di Destra.
Un secondo ordine di considerazioni riguarda il significato da attribuire al carattere "metapolitico" del pensiero evoliano. Gianfranco De Turris, presidente della Fondazione Julius Evola, nel suo ultimo saggio, Elogio e difesa di Julius Evola (Edizioni Mediterranee, 1997), utilizza il concetto di "metapolitico" come sinonimo di "utopico", "spirituale", "impolitico". Dietro tale interpretazione si cela, tuttavia, l'intento di deresponsabilizzare l'operato di Julius Evola e di purificare il suo pensiero dai contenuti violenti e dalle implicazioni pratiche, isolandolo sulle vette della Tradizione o negli spazi dell'interiorità, e allontanandolo dal terreno scottante della politica. In realtà, un aspetto importante e, per certi versi, paradossale, del tradizionalismo evoliano consiste proprio nella compresenza, da un lato, di una prospettiva metafisica e sovrastorica, e, dall'altro, di un costante interventismo ideologico-politico, nell'oscillazione tra l'inattualità metafisica e l'impegno nell'attualità storico-politica, tra il pessimismo, legato all'idea guénoniana e spengleriana della decadenza del mondo moderno, e l'ottimismo eroico, connesso a una volontà di restaurazione della grandezza perduta delle origini.
È questo atteggiamento ideologico che permette di spiegare la posizione interna-esterna mantenuta da Evola negli anni trenta-quaranta nei confronti dei fascismi, concepiti come "primo passo" in direzione di una possibile "rivoluzione conservatrice", il cui esito ultimo avrebbe dovuto essere il ritorno al mondo aureo, iperboreo, della Tradizione. Se la meta rimane sempre piuttosto nebulosa, ben concreti sono, al contrario, i mezzi indicati da Evola per raggiungerla. Dopo il fallimento dei primi tentativi di "riorientamento" in senso tradizionalistico del fascismo italiano - la pubblicazione, nel 1928, di Imperialismo pagano, e la fondazione, nel 1930, della rivista "La Torre" -, Evola, a partire soprattutto dal suo saggio più importante e famoso, Rivolta contro il mondo moderno, uscito nel 1934, collega l'idea di Tradizione a quella di razza, ed elabora una concezione strumentale del razzismo, inteso come mezzo per intervenire nella Modernità favorendo, per contro, un'uscita dalla stessa nel nome di un ritorno all'Origine. Per quanto il tradizionalismo evoliano, fondato sul rifiuto della società di massa, mal si conciliasse con i connotati ideologici del fascismo e con le sue caratteristiche di mobilitazione del consenso, tale tensione non va interpretata in termini di estraneità alla politica fascista. Soprattutto nel campo razzista, infatti, la collaborazione di Evola con il regime, seppure da una posizione eccentrica, non è stata né saltuaria né di poco conto, né si è limitata agli aspetti dottrinali (su questo si veda Mauro Raspanti, Il razzismo del fascismo, in La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, a cura del Centro "Furio Jesi", Grafis, 1994, pp. 73-89). Anche i rapporti con il nazionalsocialismo non si fermano al piano esclusivamente ideologico-culturale. Vicino agli uomini e alle idee della Konservative Revolution tedesca, Evola, da un lato, è guardato, negli ambienti ufficiali del Terzo Reich, come un "romano reazionario" - definizione, questa, presente in uno dei testi contenuti in Julius Evola nei documenti segreti dell'Ahnenerbe (Fondazione Julius Evola, 1997) -, ma, dall'altro, non esita a esaltare le SS come modello di Ordine ascetico-militare, esercitando anche, secondo quanto ipotizza Christophe Boutin (Politique et Tradition. Julius Evola dans le siècle, 1898-1974, Kimé, Paris 1992), la funzione di collaboratore dell'SD, in qualità di conferenziere, di esaminatore di documenti massonici a Vienna e di informatore. Accanto alle SS, Evola, dopo aver incontrato personalmente Codreanu nel marzo 1938, in diversi articoli tesse le lodi della Guardia di Ferro, suggestionato, in particolare, dalla compenetrazione, nel movimento rumeno, di motivazioni politiche e di motivazioni ascetico-religiose: in gran parte questi scritti li si può leggere in La tragedia della Guardia di Ferro (Fondazione Julius Evola, 1996), mentre, per una prima ricostruzione storica, recente è il saggio di Mutti, Julius Evola sul fronte dell'Est (All'Insegna del Veltro, 1998). Anche nel dopoguerra, Evola non rinuncia a fornire indicazioni di carattere strategico-operativo e modelli di riferimento. Nel 1950, in Orientamenti, dà largo spazio ai concetti di "uomo differenziato" e di "spirito legionario", che assumeranno un'importanza centrale nell'ideologia della Destra radicale. Nel 1953, in Gli uomini e le rovine, disegna, a difesa dello Stato dalla minaccia sovversiva comunista, una strategia, che punta alla costituzione di un'élite di Destra, a cui si affiancherebbero le forze militanti e il partito politico (Msi). Anche il concetto di "apolitia", espresso in Cavalcare la tigre (1961), non è sinonimo di resa o di rifiuto dell'impegno, ma è manifestazione di una non-partecipazione interiore e di una non-azione, che tuttavia rimane ideologicamente e politicamente orientata.
È sempre il concetto di Tradizione a indirizzare gli interventi evoliani nella contingenza politica, frequenti quanto meno sino al Sessantotto, momento di fortuna di un Evola visto come il "Marcuse della destra". Interessante, da questo punto di vista, Idee per una Destra (Fondazione Julius Evola, 1997), una raccolta di articoli, che, al di là delle posizioni apologetiche del curatore, ha, soprattutto, due meriti: innanzitutto, presenta documenti significativi, come il Messaggio alla gioventù, pubblicato da Evola per "I nostalgici" (marzo 1950), o come gli articoli scritti da Evola nel 1968 per "Il Borghese" e dedicati ai rapporti tra partito liberale, partito monarchico, Msi e Destra tradizionale; in secondo luogo, individua, come fonte per la ricostruzione del pensiero politico evoliano del dopoguerra, le collaborazioni per periodici quali "L'Italiano", "Civiltà", "Il Borghese", "Roma", "Il Conciliatore", "La Destra". Importanti contributi per la ricerca storiografica potrebbero senz'altro provenire da una lettura completa degli articoli di Evola: le raccolte finora disponibili sono soltanto due, Oriente e Occidente, e Scritti per "Vie della Tradizione" (Vie della Tradizione, 1998), mentre le Lettere 1955-1974 (a cura di Renato Del Ponte, La Terra degli Avi, s.d. [1996]) racchiudono indicazioni preziose sui rapporti tra Evola e le riviste e gli editori dell'area della Destra tradizionalista italiana ed europea.
La recente pubblicazione di un'antologia degli articoli di Evola usciti negli anni quaranta sul quotidiano "Lavoro Fascista" e sul mensile "Carattere, rassegna del lavoro italiano" (Carattere, Il Cinabro, 1996), e le esili raccolte dell'editore romano Raido - I "Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker (Raido, 1998) e Le SS, Guardia e Ordine della rivoluzione nazionalsocialista (Raido, 1998) - possono, invece, rappresentare un buon punto di partenza per uno studio del razzismo di Evola, che superi l'interpretazione riduttiva, fornita da (Renzo De Felice in Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (Einaudi, 1961, 19932) e largamente sostenuta dagli evoliani. La figura di Evola, infatti, con il suo presunto "razzismo dello spirito", assume un'importanza centrale nell'operazione ideologica defeliciana, tesa a contrapporre a un razzismo tedesco "biologico" sterminazionista un razzismo italiano "spirituale" e, in qualche modo, "rispettabile". In realtà, la concezione evoliana di un razzismo articolato su tre livelli (razzismo del corpo, dell'anima, dello spirito) presuppone un processo di razzizzazione ben più rigoroso e discriminante di quello concepito dal razzismo biologico, dal momento che a ogni salto di grado corrisponde un ulteriore giro di vite nella selezione razziale.
Se l'etichetta di "razzismo spirituale" è, dunque, storiograficamente inadeguata, altrettanto discutibile appare la tesi apologetica della "parentesi", che omette completamente la gravità del razzismo evoliano nel secondo dopoguerra. In particolare, è negli anni cinquanta e sessanta che si sviluppa il razzismo antinero di Evola, differenzialista e mixofobo, sostenitore dell'"apartheid" e della deportazione dei neri americani, ossessionato dall'idea della "negrizzazione" della civiltà europea e statunitense. Per averne un assaggio, basta leggere America negrizzata, un capitolo di L'arco e la clava (1968; Edizioni Mediterranee, 1995), che istituisce un preciso parallelismo tra "negro" e "tipo americano" e tra "negrizzazione" e "americanizzazione".
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