Dopo il riciclo, l'energia e, a seguire, la comunità. I primi cinque anni di attività del Maxxi Architettura di Roma resteranno segnati da tre importanti esposizioni articolate attorno a queste tre impegnative nozioni. Il catalogo della mostra Energy. Architettura e reti del petrolio e del post-petrolio (pubblicato anche in inglese, Energy. Oil and post-oil. Architecture and grids), che si è tenuta tra marzo e settembre 2013, restituisce il secondo episodio del progetto: se ciò che la città ha prodotto durante il secolo scorso si può e si deve riciclare, per rianimare l'enorme patrimonio e rifondare così una nuova buona società, servono energie che al momento non abbiamo. Occorre immaginarle. E per ciò che più attiene all'indagine svolta, occorre immaginare l'architettura delle infrastrutture che andranno a sostituire architettura e reti del petrolio esistenti. Il compito è impegnativo per vari motivi. Primo, perché i pronostici che ricorrono dispongono scenari energetici contraddittori e divergenti, con la conseguenza che l'architettura in gioco è chiamata a dar forma a distribuzione e consumo di non si sa ancora bene quale risorsa. Secondo, perché la sua autonomia funzionale ed espressiva sarà esigua, in modo non dissimile a come lo è stata durante la stagione, ancora in corso, della distribuzione e consumo di petrolio. Si possono formulare ipotesi e avvalersi di proiezioni, come quelle dell'International Energy Agency che la ricerca stessa riporta, per osservare, in relazione al solo campo della mobilità, due mondi: quello industrializzato, che con solamente il 18 per cento della popolazione consuma attualmente il 57 per cento delle risorse energetiche disponibili, e quello in via di sviluppo, dove Cina e India, con il 37 per cento della popolazione mondiale, ne consumano l'11 per cento. Percentuali mobili, tese a ridursi nel primo mondo, quasi a raddoppiare nel secondo. Protocolli e imposizioni individuano nell'anno 2035 una data importante. Processi di deindustrializzazione, sviluppo virtuoso, innovazioni tecnologiche e investimento in elettricità, biocarburanti, idrogeno, potrebbero cambiare lo scenario di approvvigionamento, fino a ridurre del 15 per cento il consumo mondiale dei carburanti tradizionali. Le variabili in gioco non consentono però prospettive certe e l'aggiornamento delle proiezioni riserva ogni anno sorprese. Ciò che non è in discussione è il momento di transizione che segna la fase attuale rispetto al progressivo abbandono del petrolio con le sue reti e architetture. Energy ne tiene conto. Scandendo il racconto in tre distinte sezioni: Storie, con uno sguardo rivolto al passato, Visioni, al futuro, e Fotogrammi, che riporta al presente. Le Storie sono documentarie rispetto al patrimonio architettonico che durante il Novecento ha dato forma alla distribuzione energetica nazionale rispetto al sistema della mobilità. Sono storie di distributori di benzina e stazioni di servizio, motel e autogrill, villaggi e metanopoli. Storie di Agip, Eni, del progetto di Enrico Mattei. Storie della costruzione di una parte importante del territorio italiano. Storie di quel connubio straordinario tra cultura industriale e architettonica che durante gli anni del boom ha messo in scena modernità e sviluppo. Storie degli architetti che si sono cimentati nel disegno e nella realizzazione delle sue forme inedite: Marcello Nizzoli, Pier Luigi Nervi, Mario Bacciocchi, Mario Ridolfi, Franco Albini, Edoardo Gellner, Angelo Bianchetti, Vittorio de Feo, Roberto Gabetti e Aimaro Isola. Alle Visioni è demandato il compito di immaginare tracce per un'analoga storia futura, nell'incertezza delle prospettive correnti, entro una dimensione geografica, sociale, economica e politica che non è più quella nazionale, ma vagamente globale, come globale è il discorso su inquinamento, approvvigionamento, consumo e risparmio energetico. Un salto nel vuoto. Un esercizio senza rete che affida all'estetica (dell'architettura) il ruolo anticipatore di segnare le prime tracce della storia tutta da scrivere. Come nelle parole di Lance Hosey sul "Design Observer", riprese qui dal curatore: "È il momento di chiarire che la questione ambientale è un imperativo estetico". Precursori, sette studi di architettura provenienti da cinque diversi continenti, ognuno dei quali chiamato a dare immagine e forma a nuove reti di approvvigionamento e di distribuzione energetica. Accanto ai loro scenari, due ricerche: quella dello studio IaN+ con Freddy Paul Grunert sul tema della produzione e dello stoccaggio di idrogeno lungo le infrastrutture autostradali, e la Roadmap 2050 dello studio oma/amo di Rem Koolhaas a ridisegnare la geografia dell'Europa sulla base delle risorse disponibili nei diversi contesti ambientali. Con i Fotogrammi si torna infine in Italia. Per raccontare, attraverso il lavoro di tre fotografi, i luoghi della produzione, distribuzione e consumo di energia oggi. La raffineria Versalis di Ravenna: monumento inanimato e deserto, attraversato dai soli fumi degli impianti ancora attivi. Napoli di notte: il disegno della luce sullo sfondo nero della città e il protagonismo scenico dei distributori di benzina. Milano, ancora stazioni di servizio: sessanta ritratti di consumatori sullo sfondo del luogo di rifornimento. Tra decadenza e ordinarietà, il presente non riserva sorprese. Il passato è glorioso. Il futuro è ignoto. Attorno a una scansione semplice si consuma un racconto nostalgico. L'abbandono del petrolio non è indolore. E non basta uno slancio estetico a colmare un vuoto che da un lato è celebrazione di un lutto (il passato da patrimonializzare), dall'altro espiazione di una colpa (il presente con il suo consumo persistente di risorse contaminanti). Sono confortanti le visioni delle nuove reti della mobilità che producono energia anziché assorbirla, le cui stazioni prendono forma di alberi e foreste, fattorie, mercati per lo scambio di energia e cibo, di "monumenti post-apocalittici" forieri di una nuova civiltà. Confortante è immaginare una rete energetica più democratica, meno gerarchica, più leggera, non più articolata per punti di emissione lungo un'infrastruttura rigida, ma dispersa su un territorio che è risorsa ovunque c'è sole, vento, acqua. Le visioni rassicurano, ma passato e presente pesano di più nel racconto. E la nostalgia e lo smarrimento che percorrono le sezioni di Energy sono una vena nera come il petrolio di cui si racconta la storia. Nelle retoriche che affollano i discorsi sullo sviluppo sostenibile non è frequente il richiamo a ciò che in passato ha garantito benessere e progresso, il ricordo di vantaggi e privilegi del consumo e dello spreco, il fascino di una crescita senza misura e lo smarrimento rispetto al suo abbandono. Dove non vi è rimozione, prevale la colpa. In Energy le angolazioni coesistono. Il richiamo del curatore a due narratori-icona di storie "di petrolio" non lascia equivoci. Da un lato Ballard, dall'altro Pasolini. Da un lato l'attrazione fatale di Crash e l'impossibile rinuncia alla modernità del protagonista di The Ultimate City (La civiltà del vento, 1977) che intraprende un viaggio senza ritorno verso l'ultima città che ancora consuma e spreca dopo la fine delle risorse. Dall'altro la disperazione del Petrolio pasoliniano, collante denso e vischioso di una società destinata ad affondarvi. Nostalgia e pena. Si riparte da qui. All'architettura delle nuove reti energetiche il compito di dare immagine a questo presente contraddittorio: nel rimpianto di quando il progresso era un vortice, conferire nuovo fascino alle sue nuove forme, morigerate, quiete, lente, e ancora dolenti. Angelo Sampieri
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