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libro molto interessante ed utile per comprendere i meccanismi che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008 e per afferrare del dinamiche del capitalismo.
L’analisi parte dalla situazione degli Stati Uniti con l’esercito industriale di riserva che il capitale, per massimizzare i profitti, ha individuato volta a volta nei lavoratori licenziati, nelle donne, nelle fasce proletarizzate, negli immigrati come una risorsa da sfruttare; e ha fatto leva sugli egoismi individuali per creare situazioni di contrapposizione, disparità salariali e odiose discriminazioni etniche e di genere. Ampliando lo sguardo fuori dagli USA l’Autore compie molte riflessioni sulla pervasività del capitalismo che per continuare nel suo sviluppo insostenibile ha bisogno di modellare il mondo spazzando via forme, culture, modi di vita che non si adeguano alle logiche di mercato e perciò rappresentano un ostacolo; e di ridisegnarne la geografia, specie quella urbana, plasmando nuovi comportamenti e bisogni. Tale devastazione va compiuta anche a costo di saccheggiare il pianeta di quelle materie prime essenziali alla crescita – e, in fondo, alla sopravvivenza – del capitalismo stesso; perciò questa antinomia viene definita da alcuni studiosi la «seconda contraddizione del capitalismo»; l’ambiente modellato per l’espansione del capitalismo è da Marx considerato un impedimento all’interno della sua stessa natura. Oltre alla riconfigurazione ambientale, il capitale ha mutato le forme classiche di colonialismo e imperialismo, rinunziando al dominio diretto della regione ma imponendovi la propria egemonia culturale, economica e finanziaria. Le ultime cinquanta pagine tracciano un possibile scenario alternativo al capitalismo con nuove coordinate riguardanti fra l’altro rapporti sociali e produttivi, prassi che perseguano il bene della comunità e una relazione con l’ambiente non vampiresca; Harvey definisce chimeriche tali audaci proposte e allo stesso tempo sostiene l’ineluttabilità di pensare in termini utopici. Diversi nel testo sono i richiami alle formulazioni marxiane, spesso per confermarne l’attualità, talvolta invece per contraddirle.
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Il più autorevole intellettuale anglofono neo-marxista in vita, David Harvey, da diversi anni è tornato a occuparsi precipuamente dell'oggetto d'interesse più caro ai cultori di tale orientamento: il capitale. Vagliando limiti e contraddizioni del suo ciclo riproduttivo, Harvey tenta di svelarne l'enigma e, per civettare con il titolo del libro, esaminarne il prezzo della sopravvivenza. Con le consuete, notevoli doti divulgative (il suo corso sul Capitale di Marx, disponibile on line, è stato scaricato più di 250.000 volte), l'autore offre una sintesi tra un affresco complessivo e appassionante della saga plurisecolare del capitalismo occidentale e una diagnosi acuta, ma accessibile, del presente. Ricorrendo di frequente a immagini, esempi e aneddoti emblematici, che per un lettore continentale mediamente colto possono assumere un insolito aspetto semplificante, Harvey traccia impressionisticamente le caratteristiche sistemiche dei flussi e riflussi di capitale e delle loro dinamiche paradossali.
In costante bilico tra metafisica del capitalismo (ciò che vale in eterno per questo ordinamento sociale) e disamina della storia più recente (in particolare gli ultimi trent'anni), il libro del geografo e scienziato sociale ha immediatamente conosciuto un vasto successo di pubblico, tanto da essere prontamente tradotto in svariate lingue. Nell'articolazione del saggio Harvey si prefigge due compiti essenziali: il primo consiste nella descrizione delle dinamiche di rimozione dei problemi intrinseci che la riproduzione allargata del capitale incontra a livello sistemico; il secondo, decisamente più complesso e ambizioso, si risolve nella delineazione, abbozzata nel capitolo Che fare? E chi lo farà?, di una strategia "corivoluzionaria anticapitalista".
Maestro nell'analisi macrologica, il professore alla City University di New York esamina con meticolosità e sagacia le modalità di dilazione geografica e/o settoriale con cui il capitale tenta di risolvere la difficoltà di un tasso composto di crescita annua del 3 per cento il minimo standard richiesto per garantirsi uno stato di salute precaria. La logica del capitale viene infatti intesa come un processo in cui il denaro è di continuo posto alla ricerca di altro denaro, al fine di espandere il proprio circuito rigenerativo e sostenere le esigenze di accumulazione illimitata. Adottando un'ottica generale (il sesto capitolo si intitola La geografia del tutto), Harvey individua sette sfere di attività attraverso cui si materializza il mutamento sociale volto all'aumento incessante della circolazione e dell'ammasso di ricchezza. Solamente dalla ben oliata e reciproca interazione dialettica di tutti questi fronti "tecnologie e forme organizzative; rapporti sociali; ordinamenti istituzionali e amministrativi; produzione e processi lavorativi; rapporti con la natura; riproduzione della vita quotidiana e della specie; concezioni mentali del mondo" la spirale "coevolutiva" del capitalismo può perfezionarsi nella conquista del massimo grado socialmente raggiungibile di efficienza e ricerca di profitto.
I periodi di criticità, invece, incorrono quando si interrompono i flussi di scorrimento del denaro, o quando l'eccedenza di capitale che solitamente inonda le economie viene meno o rallenta eccessivamente a causa di disfunzionamenti in uno o più dei sette campi decisivi identificati. Accade allora che, pena la sopravvivenza del sistema sociale nella sua globalità, ogni barriera che ostacoli la rapidità dei traffici economici deve venire abbattuta, ogni frizione attenuata, ogni distanza spazio-temporale scavalcata. Le crisi, "i razionalizzatori irrazionali di un capitalismo perennemente instabile", rappresentano pertanto dei momenti di profondo sconvolgimento, in cui gli assetti dello sviluppo sociale e della connessa egemonia politico-economica si riconfigurano a seconda dei rapporti di forza tra classi e nazioni contrapposte. Come evidenziato dalle portentose vicende del '29 e del '73, le grandi crisi scardinano lo status quo e apprestano il terreno per nuove gerarchie geo-politiche.
In questo caso, però, a emergere con ancora più chiarezza rispetto al passato è il tratto compiutamente sistemico delle asperità da sormontare: data l'enormità delle cifre in campo, per assicurarsi una crescita ininterrotta a un tasso del 3 per cento annuo, presto o tardi il capitale finirà inesorabilmente per scontrarsi contro limiti insostenibili, di carattere ambientale, produttivo, redditizio e spaziale. Ormai libero di scorrazzare a proprio piacimento per il pianeta in ogni ambito di attività economica, commerciale e finanziaria e dopo aver clamorosamente fiaccato e disciplinato sempre più la forza-lavoro, al capitale non sono pressoché più rimaste zone vergini da colonizzare, aree o nicchie di mercato da saturare, nuove risorse da prosciugare o occasioni da sfruttare con alti tassi di remunerazione (salvo i sempreverdi investimenti speculativi in beni fittizi a elevato rischio morale, senza cioè responsabilità per le conseguenze negative procurate).
L'obiettivo attuale che accomuna chiunque abbia a cuore le sorti del capitalismo consiste quindi nel disperato tentativo di salvare il capitale dalla sua forza dirompente e dissestante di ogni tipo di legame. I più radicali, e avveduti secondo Harvey, devono invece esercitarsi in ognuna delle sette sfere sopraindicate nell'articolazione simultanea e interconnessa di pratiche alternative alle vigenti. Per contrastare la creatività sempre più distruttiva dell'aumento potenzialmente perpetuo e infinito del denaro, devono perciò stipularsi alleanze tra coloro che si impegnano nei vari settori, riconoscendo quali entro questi svolgono "qui e ora" un ruolo predominante, senza però sottovalutare l'apporto congiunto degli altri. Per approdare a una prospettiva di cambiamento costruttiva, bisogna infatti tenere assiduamente in moto il movimento politico da una sfera di attività all'altra, superando le visioni meramente critico-negative e coagulando le tendenze antagoniste più disparate.
L'enigma del Capitale, ponendo dubbi sulla legittimità del capitalismo come sistema sociale adeguato alle sfide del presente, affronta quindi in maniera energica e originale due temi classici della tradizione marxista: la questione delle crisi ricorrenti del capitalismo e la teoria della prassi rivoluzionaria (Harvey adopera ripetutamente, senza prendere posizione, i concetti di socialismo e comunismo, prestando in più occasioni particolare attenzione alle soluzioni avanzate dalle tradizioni anarchica e autonomista). Senza il timore di adottare espressioni ormai in disuso come "pratiche imperialistiche", "divisione e lotta di classe", "intellettuale organico", "capitalisti" o, ancora, "indigenti, sfruttati e alienati" l'autore affronta di petto la doppia impasse in cui pare invischiata ogni proposta socio-politica radicale: "La mancanza di una visione alternativa impedisce la formazione di un movimento di opposizione, e l'assenza di un tale movimento preclude la formulazione di un'alternativa". Nonostante queste premesse scoraggianti, a chi gli rinfacciasse eventualmente di permanere un ostinato utopista, Harvey risponderebbe con franchezza: "Non possiamo permetterci di non esserlo".
"Uomo del Kent", come ama definirsi, David Harvey ha studiato e insegnato a Cambridge, Bristol e Baltimora. Attualmente è Distinguished Professor di geografia e antropologia al Graduate Center della City University of New York. Considerato uno dei massimi intellettuali al mondo (il suo La crisi della modernità è annoverato tra i venti libri più citati della seconda metà del Novecento), Harvey ha contribuito ad allargare e rinnovare il tradizionale campo d'indagine del marxismo. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Spaces of Capital (2001), The New Imperialism (2003), A Brief History of Neoliberalism (2005) e Spaces of Global Capitalism (2006).
Davide Gallo Lassere
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