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Dopo l'esame di un quadro di Salvador Dalí, L'enigma del desiderio, che è sì oggetto di un'analisi serrata, ma anche pretesto per preziose indicazioni di metodo concernenti l'ermeneutica del film, Paolo Bertetto si addentra nell'esame di due opere chiave della storia del cinema e, in particolare, della grande stagione delle avanguardie, proseguendo così un percorso critico che l'autore, con i suoi precedenti studi, aveva già iniziato a seguire da tempo. Un Chien andalou e L'Âge d'or, i due film che Buñuel realizzò rispettivamente nel 1929 e 1930 e che costituiscono l'indiscusso vertice del cinema surrealista, sono così oggetto di un'analisi assai articolata in cui entrano in gioco diverse istanze di metodo e più saperi specifici che si confrontano con quell'insieme di "immagini, figure e figuralità molteplici" con cui ha sempre a che fare il lavoro d'interpretazione nel cinema. Fra i diversi saperi in gioco, un ruolo chiave è indubbiamente quello assunto dalla ricerca di ordine psicoanalitico, con particolare riferimento a Freud, Lacan e Metz. Ruolo che si concretizza in una serie di approfondite considerazioni sul modo in cui i due film tracciano un ben preciso percorso contrassegnato dalle figure dell'identità, del desiderio, dell'eros e dell'inconscio. Altri aspetti importanti del libro riguardano sia la contestualizzazione delle due opere in un'ampia serie di riferimenti che evidenziano i rapporti di queste con la cultura spagnola, il mondo dell'avanguardia e il lavoro di intellettuali e artisti come Breton, Bataille e Magritte, sia il tentativo di discernere il peso diverso assunto da Dalí, da una parte, e Buñuel, dall'altra, nella genesi del dittico - entrambi i film, infatti, accreditano Dalí, insieme allo stesso Buñuel, come cosceneggiatore del film. A proposito della genesi dei film, va anche riconosciuto a Bertetto un attento rigore filologico nella minuziosa ricostruzione delle diverse fasi e difficoltà che hanno portato alla realizzazione delle due opere, sulla base di scenari, lettere e documenti inediti.
Pur costituendosi come una sorta di dittico, Un Chien andalou e L'Âge d'or presentano differenze rilevanti: nel primo è più evidente l'influenza di Dalí e la rappresentazione delle sue figure paranoiche, nel secondo, invece, si affaccia l'opera di de Sade e, in particolare, del suo Le centoventi giornate di Sodoma - fatto evidente soprattutto nell'epilogo del film e nell'identificazione del duca di Blangis con Cristo che, al di là dell'evidente connotazione blasfema, stabilisce come "l'unico desiderio realizzato sembra essere dunque il desiderio perverso che si intreccia strutturalmente con la violenza". Il confronto tra i due film si estende anche al piano più strettamente cinematografico della rappresentazione e messinscena. Si vedano, ad esempio, le osservazioni dell'autore in merito alla costruzione dello spazio che, in entrambi i film, "appare più come l'oggetto di un'evocazione che come dimensione della rappresentazione, ma non perde mai elementi di verosimiglianza nelle configurazioni più immediate e visibili, connesse in particolare all'orizzonte dell'inquadratura". Tuttavia, una differenza c'è ed è innanzi tutto costituita "dal prevalente carattere fantasmatico degli spazi di Un Chien andalou rispetto alla maggiore oggettività di L'Âge d'or ". Buñuel, in sostanza, sembra progressivamente liberarsi dall'influsso di Dalí , dall'idea di una messinscena carica di segni, simboli, integrazioni figurali e oniriche, per approdare a una dimensione visiva "segnata da una prevalente semplicità iconica", ben lontana anche dai modelli espressionistici di Wiene, figurativi-geometrici-eidetici di Lang, modernisitico-eclettici di L'Herbier o pittorici di Murnau.
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