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Il mio parere è assolutamente positivo, davvero un bel libro, complimenti! La cosa che ho apprezzato di più è la fluidità della narrazione: in tutta la trama non c'è nessun "punto di blocco", nessun punto in cui la trama rallenta, nemmeno nelle descrizioni più lunghe. Questa è una cosa che, secondo me, fa tanta differenza tra un libro ed un altro. In "Enkidu", infatti, la trama è molto scorrevole: il lettore è costantemente incuriosito di conoscere il decorso dei fatti e, finito di leggere un capitolo, vuole subito proseguire nella lettura del successivo. Secondo me, la fluidità della trama è principalmente legata alla complessità di tutti i personaggi principali. Enkidu, l'eroe per eccellenza, circondato dall'aura della leggenda e del mito, è descritto anche nelle sue vesti "più umane": un uomo dibattuto tra il ritorno ad essere selvaggio, insieme agli animali, nella sua natura, e tra l'amore per una donna, vincolata in parte alla civiltà. Anche Gilgamesh è un personaggio notevolmente complesso, e lo è ancor di più il rapporto tra egli ed Enkidu. E' incredibile come l'autore sia riuscito a descrivere il cambiamento di questo rapporto: prima nemici/rivali, poi amici (Gilgamesh è quasi "innamorato" di Enkidu). Oltre ad una dettagliata descrizione dei luoghi, delle usanze, dei paesaggi, dello stile di vita, mi è piaciuta molto anche la descrizione dei sentimenti instaurati tra i vari personaggi. A parer mio, il più forte di tutti è quello tra Enkidu e Shamkhat: entrambi rinnegano/sacrificano quello che loro sono e le loro origini pur di stare insieme. Enkidu, immediatamente colpito dalla bellezza di Shamkhat, è disposto ad allontanarsi dalla natura per avvicinarsi alla civiltà; similmente, lei è disposta ad andare contro le regole e la sua religione. Che dire? "Enkidu" è già messo nello scaffale dei miei libri preferiti nella mia libreria. Rinnovo nuovamente i miei complimenti al mio amico Damiano e lo ringrazio ancora per questo splendido libro!
Si tratta di un romanzo curato nei particolari, fedele all'epopea originale di cui riporta vari e interessanti brani. Le sue descrizioni di grandi sacerdoti, cortigiane splendide, guerrieri vigorosi impegnati in dure battaglie o in sfrenate gozzoviglie, oltre che a feroci re maghi dalle spaventose abitudini sono avvincenti e tutti i personaggi, dal primo all'ultimo e per quanto breve sia la loro parte, risaltano con uno spessore e un realismo tale da sembrare erompere dalle pagine. Superlativa la figura di Enkidu, l'uomo selvaggio e senza padroni che riesce a influire profondamente sul re di Uruk Gilgamesh: ma anche di gran spessore, ad esempio, il personaggio della sacerdotessa Shamkat e la sua emancipazione che la porterà, almeno io credo, a esser forse la vera protagonista del racconto. Romanzo che coinvolge per le descrizioni della natura, quanto per la realistica ambientazione storica di città, villaggi e i loro abitanti; capace di far sorridere per le battute folgoranti o le situazioni quasi goliardiche, ma anche insolitamente profondo, specie quando deride il potere fine a se stesso o nocive superstizioni. Ma anche incredibilmente lirico come nella scena della seduzione in riva al lago; o pregno di pathos nel passo in cui Enkidu, dopo aver ceduto alle preghiere di due genitori cui una fiera ha ucciso il figlio, si trova a dover fronteggiare la gratitudine dell'intera comunità. Una storia che offre anche una morale politica cui non pochi uomini di potere moderni dovrebbero ispirarsi, a volte crudele com'era certamente la vita a quei tempi, pervasa a tratti da schietta sensualità, ma pure da valori che non appaiono meno attuali, anzi lo sono ancor più anche se li abbiamo quasi dimenticati, al giorno d'oggi. Concludo che Damiano Leone deve essere un autore che ama le donne: perché poche volte ho visto tratteggiare così intensamente eppure delicatamente, desideri e passionalità nascoste nell'animo femminile.
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