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“Religione e metafisica sono rami della letteratura fantastica” afferma Jorge Luis Borges, autore eccelso di letteratura fantastica. Ermanno Cavazzoni, attingendo ad antiche fonti documentarie cristiane, crea con “Gli eremiti del deserto” un’opera dove svanisce il confine tra vero e verosimile, tra ordinario e straordinario. Il libro descrive le peripezie di uomini vissuti tra il terzo e il quinto secolo dopo Cristo, in fuga da sé stessi e dalla società delle loro origini, alla ricerca di una purificazione assoluta attraverso la severa solitudine in territori remoti e impervi, inseguiti dalle trappole di goffi demoni, da gruppi di discepoli improvvisati, da estenuanti moltitudini in attesa di sortilegi benefici. È una ulteriore tappa dell’Autore nella dimensione multiforme dei freak di ogni tempo e luogo, nell'itinerario che lo ha portato a incontrare le vicende universali dei “lunatici”, degli “idioti”, dei “giganti”, dei “santi”, ecc. In “Gli eremiti del deserto” la levità e la fluidità della scrittura di Cavazzoni, e quella “semplicità che è difficile a farsi”, direbbe Brecht, scaturiscono da una elaborazione che rimuove l’addensarsi delle concrezioni dottrinarie e dogmatiche e unisce indistinguibilmente, in un unico impasto stilistico, l’orrore e l’estasi, il dolore, il miracoloso e il comico. Ogni pagina di questo libro ha il sapore del meraviglioso, per la delizia e la letizia del lettore. Ultima notazione: copertina bellissima, come da consuetudine grafica Quodlibet.
Caratteristiche comuni alle vite di questi santi anacoreti furono senz’altro la preghiera assidua, la meditazione, l’intercessione in favore del prossimo, la lotta combattuta contro le tentazioni del demonio. I sacrifici a cui si sottoponevano amplificavano la loro fama di santità, per cui molti malati, storpi e anime inquiete li interpellavano supplicando una guarigione o un qualsivoglia conforto. Altro tratto tipico dell’esistenza degli eremiti di cui scrive Cavazzoni erano le privazioni che imponevano a se stessi soprattutto per vincere la lotta con il diavolo, che appariva loro sotto le sembianze di bestie feroci, o allettandoli con lusinghe sessuali, o ancora tormentandoli con allucinazioni visive e uditive. Quindi, cibo frugalissimo (datteri, lenticchie, farina bagnata, fichi, radici, erbe) e assunto in dosi minime, idratazione ridotta all’essenziale, semi-nudità o vestiario limitato a stracci, coperte logore o mantelli di cuoio. L’ambiente in cui si costringevano a vivere era il più misero e disagevole possibile: grotte, buche nel terreno, capanne, pozzi, casse o gabbie di legno, o colonne altissime sopra le quali rimanevano immobili giorno e notte, spesso in posizione eretta. Il corpo veniva mortificato con cilici, catene, collari, pesi di ferro, digiuni protratti fino allo sfinimento, oppure esponendolo alle intemperie e sfiancandolo in pesanti fatiche fisiche. Ermanno Cavazzoni stuzzica la nostra curiosità con aneddoti e stranezze, confessando la sua attrazione per questi personaggi, e per le loro scelte di vita oggi non più proponibili (in quale deserto potrebbe ormai rifugiarsi un anacoreta, nel nostro mondo invaso da esplorazioni satellitari e turismo incontrollato?): «Ho sempre letto queste vite con ammirazione e invidia, per quei tempi di libertà, di povertà volontaria non sindacalizzata, di avventure interiori e incontri fantastici straordinari».
Eccoci ancora nel magico mondo di Ermanno Cavazzoni. Sono storie fantastiche, meravigliose, avvicenti. Sono ancor più incredibili perché tratte dalla realtà del passato, quando l'eremitaggio era un modo di vivere piuttosto comune, o forse un sistema per sopravvivere in un contesto sociale molto, molto difficile: dirsi fuori, tenersi ai margini, osservare, estraniarsi. Non perdetevi questo gioiello e non perdetevi neppure quelli precedenti scritti da Cavazzoni, un GRANDE della nostra letteratura.
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