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Per Deuteronomio 34, 7 Mosè visse 120 anni, il tempo massimo concesso all'uomo dopo la decisione divina di Genesi 6, 3. La sua vita fu divisa in 3 periodi di 40 anni: il primo lo trascorse come principe alla corte del Faraone, il secondo come pastore a Madian, il terzo come re in Jeshurun (Deuteronomio 33, 5), ossia a capo degli israeliti durante l'esodo quarantennale (Numeri 14, 34 e Deuteronomio 2, 7). Ma è tripartito pure l'esodo di per sé, fra Egitto, Sinai e Terra Promessa. Che non sia tutt'oro quel che luccica e viceversa, in questo caso è attestato dal fatto che, dopo oltre 3mila anni, la cosiddetta Terra Promessa è ancora tale, non paradiso o giardino edenico bensì territorio di conquista e inarrestabile bagno di sangue. Reciprocamente, la schiavitù egizia non risultò col senno di poi quell'inferno che poteva sembrare, dato che durante l'esodo il popolo ebraico "mormorò" ("Si stava meglio quando si stava peggio") dieci volte, proprio tante quante il numero di comandamenti del Decalogo (Esodo 15, 24; 16, 2-3; 17, 3; Numeri 11, 4-6; 13, 30; 14, 2; 16, 2.13; 17, 6; 20, 3-5). In "Esodo e rivoluzione" Walzer evidenzia apertamente che, se "gli Israeliti erano schiavi del Faraone, nel deserto essi diventano servi di Dio (la parola ebraica è la stessa)" (p. 41). E anche il Sinai viene presentato nudo e crudo: gli ebrei "dovettero passare tanto tempo nel deserto [… poiché] non marciarono per la strada più diretta dall'Egitto a Canaan; Dio lì guidò per una strada tortuosa" (p. 42). L'esodo fu nient'altro che un doloroso purgatorio: "lo stermino degli idolatri [del vitello d'oro] costituisce […] la prima purga rivoluzionaria" (p. 45), e la stessa manna che il popolo dovette mangiare per 40 anni è un lassativo, appunto un purgante. Conclusione secca: le 3 fasi esodali sono state insignificanti variazioni sull'unico tema dell'"homo viator", ciò che il cattolicesimo chiama "Chiesa pellegrina (su questa terra)" e che la devozione mariana definisce "valle di lacrime". La salvezza non si sa dove sia, ma qui no di sicuro.
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