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In questo secondo romanzo di Rosella Postorino, la compromissione con il male, il crinale fra vittima e carnefice – temi cardinali nella poetica dell'autrice – e tutte le contraddizioni del nostro Meridione vengono esplorate attraverso lo sguardo di due bambine.
«Per raccontare la spirale criminale del Mezzogiorno, Rosella Postorino sceglie, con molta originalità, una strategia obliqua, passando per l'elaborazione di un lutto che da privato diviene comune. E attraverso il racconto affettuoso di una bambina, Caterina, che comprende ma non redime, il libro cerca di recuperare un senso nella banalità del male» – Valeria Parrella
Ci sono luoghi che sono condanne, che lasciano nelle ossa il peccato dell'origine, come Nacamarina, paese meridionale affacciato sul mare, dove «si vive nel solco di una disgrazia sempre in agguato». E una notte d'agosto la tragedia arriva: il focu, la catastrofe, si abbatte su Laura, Salvatore e sulle figlie Caterina e Margherita, costringendo la famiglia – collusa con la 'ndrangheta per «parentele inevitabili» – a emigrare in Altitalia. Il viaggio verso il Nord è un gesto di amore che sovverte le regole delle loro terre, preteso da Laura a dispetto della volontà del marito e consumato senza parole né spiegazioni, secondo l'antica legge del silenzio. Caterina e Margherita avvertono nondimeno tutta la paura di quella fuga, che non comprendono ma di cui respirano gli effetti, una paura che ha il sapore della pastina col formaggino – la cena della notte del focu, il piatto del lutto. Nell'intercapedine delle parole taciute, ognuno dei quattro tenta di ricucire lo strappo, ognuno ha una personale storia familiare con cui fare i conti, un peccato originale da scontare. In questo suo secondo romanzo, ambientato durante la guerra di 'ndrangheta degli anni ottanta, Rosella Postorino intesse i fili delle loro storie, e in particolare quelli della dodicenne Caterina, indagando la contiguità con il male nelle sue ricadute intime, inaspettate – la distorsione dei legami familiari, la collusione inconsapevole, le gabbie da cui ci si sforza di uscire, il bisogno di espiazione. Ne emerge, estrema ribellione al male indecifrabile che percorre ogni pagina, una tensione insopprimibile verso la felicità. L'estate che perdemmo Dio ha vinto il premio Benedetto Croce e il premio speciale della giuria Cesare De Lollis.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Mi ha deluso, il periodo che la Postorino descrive me lo ricordo, centinaia di parenti delle famiglie mafiose scapparono nel nord Italia per sfuggire alle vendette trasversali. Ma il romanzo non mi è piaciuto perchè scritto in un modo tale da risultare lento, quella lentezza che talvolta ti fa venire voglia di saltare la lettura di intere frasi. In realtà si gioca tutto sui sentimenti di una bambina che non capisce cosa sta accadendo nella sua famiglia, che non capisce il significato di mafioso, che non capisce perchè lo zio è in prigione. Ma a volerla dire tutta la trama è breve ed i riempitivi per allungarla sono tanti.
buono
"L'estate che perdemmo Dio" è un titolo bellissimo, stavo in libreria e mi chiedevo chissà cosa accadde quella estate, me lo chiedo ancora oggi che il libro l'ho letto purtroppo e mi sono annoiata moltissimo. Sono nata nel sud e vi garantisco che ci sono splendide donne anziane coraggiose e amorevoli e non solo vecchie brutte ossessionate dal vivere in simbiosi con i figli, ci sono uomini e donne che anche vivendo lontani dal paese di origine sono sereni e felici. Mi dispiace tanto.
Recensioni
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