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Un affascinante resoconto del viaggio nella Terra di Baffin del filosofo francese Michel Onfray e suo padre. Onfray riflette sulle condizioni di vita del popolo Inuit, non tralasciando il cambiamento e la perdita dei valori e delle tradizioni della loro società, con la graduale assimilazione dei modelli occidentali. Interessante anche la riflessione sul turismo artico, il desiderio di sopportare condizioni meteorologiche estreme e giocare ''alla sopravvivenza''.
Recensioni
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Diario di viaggio, riflessione sulle coordinate fondamentali dell’esistenza, celebrazione della saggezza tradizionale del popolo inuit, denuncia delle aberrazioni della modernità, appassionato tributo alla memoria del padre: sono tante le modalità di lettura di questo libro di Michel Onfray, in cui convivono l’autorevole compostezza del saggio e l’intensità del racconto sentimentale. Due anime per un solo libro, che non a caso è stato definito “il più bruciante” del controverso filosofo francese.
“In mezzo a un campo dove piantavamo patate, sotto l’incessante cinguettio delle allodole, gli avevo chiesto quale destinazione avrebbe scelto se per caso un mago si fosse interessato al suo destino per rendere possibile questo viaggio ideale. «Al polo Nord» mi aveva risposto.”
Ed è così che, in ossequio a questa promessa, per festeggiare il traguardo degli ottant’anni, Gaston, contadino normanno, viene accompagnato da suo figlio Michel, filosofo, nelle terre dell’estremo Nord. Da quell’esperienza indimenticabile nasce questo resoconto in cui, senza apparente soluzione di continuità, la filosofia si ammanta di ricordo e i ricordi personali diventano filosofia.
Al Polo Nord l'edonista Onfray riflette sulla natura delle culture in cui il piacere è ridotto al soddisfacimento dei desideri naturali e la necessità detta legge. Lassù, interroga le rocce, lo spazio, i luoghi, denuncia il conflitto fra sedentarietà e nomadismo, si immerge nel pensiero degli inuit, nei loro miti, nella loro filosofia. Descrizioni, riflessioni, aneddoti, conversazioni con le guide e i cacciatori di foche si alternano a considerazioni sull’eternità, incarnata nella pietra, sullo spazio, che “assorbe il tempo e lo materializza in distese sublimi”, sul freddo, che “fabbrica la visione del mondo e la religione”. A cui si aggiunge la meno poetica ma vibrante denuncia delle nefaste conseguenze della colonizzazione e della modernizzazione esasperata, colpevoli di snaturare la vera anima del popolo inuit. "Il tribale è scomparso a vantaggio dello statale: l'anarco-comunitarismo ha lasciato il posto al capitalismo consumistico; il panteismo pagano millenario si è fatto soppiantare dalla religione ebraico-cristiana acclimatata; la famiglia tradizionale è scoppiata sotto la pressione di individualità egocentriche; la natura primitiva è morta, uccisa dalla cultura della produttività; l'inuit viscerale ha lasciato posto all'uomo unidimensionale".
In questo scorrere incessante di pensieri e memoria, la figura del padre Gaston, all’inizio periferica, acquista, pagina dopo pagina, sempre maggior rilevanza. L’autore ricorda con particolare emozione l’incontro tra l’agricoltore francese e la guida inuit settantaquattrenne, Pauloosie, soprannominato da tutti Atata, Papà. I due anziani, superando l’inevitabile ostacolo linguistico (nessuno dei due parlava una lingua diversa dalla propria) si intendono istintivamente grazie a gesti semplici, ma evocativi di una sapienza antica, capace di andare al di là dell’apparenza per cogliere il significato vero delle cose. D’altra parte, in quelle terre estreme e nella cultura eschimese, da sempre, “l’essenziale non si dice né si racconta, si mostra. Il segno surclassa il verbo, il gesto la parola, il significato detronizza qualitativamente il significante.”
In che luogo avrebbe potuto trovarsi maggiormente a suo agio un vecchio saggio dello stampo di Gaston Onfray? Uomo più incline ai fatti che alle parole, come ricorda il figlio nelle pagine dell'elogio funebre scritto in suo onore e pubblicato in esclusiva per l'edizione italiana del libro, coraggioso e pudico nei suoi sentimenti, non si sottrasse mai alla durezza del lavoro nei campi anzi la accettò sempre con la fierezza di un "eroe qualunque". Un padre poco avvezzo a gesti di tenerezza ma intento a svelare a un bambino, con la poesia innata negli animi semplici, l'affascinante mistero della stella polare in una notte d'estate.
Viaggio sulle rotte reali del grande Nord ma anche su quelle immaginarie del sentimento, della morale e degli affetti Estetica del Polo Nord, è un racconto intenso, originale a tratti persino visionario: un libro che, pur essendo ambientato tra i rigori delle regioni più fredde del pianeta, irraggia il grande calore dell'amore paterno, del rispetto per un'antica civiltà e per la saggezza della natura, dei suoi ritmi e delle sue leggi.
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