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Il terzo vol. è così denso di informazioni e concetti che mi risulta difficile recensire in poche righe. Nei corsi riportati su Goethe fino al suo viaggio in Italia si ha un un passaggio da un'estetica sturmeriana a neoclassica: nella prima, la natura coincidente con il divino esprime senza alcuna regola la sua fertilità e il suo mutamento variegato, tant'è che l'artista è capace di un sentimento in cui si riverbera la natura, pertanto il prodotto dell'arte non è che il prodotto della natura attraverso il genio dell'artista. L'arte non ha bisogno di regole perché la sua legge è quella della natura stessa, l'immutabilità del continuo mutamento, in cui vita e morte coincidono. Attraverso gli studi di botanica, anatomia e mineralogia, Goethe si convince sempre più che bisogna ricorrere a un tipo ideale, che sia la pianta originaria, le ossa e l'osso intermascellare o il granito, intesi come vere e proprie forme essenziali della natura nelle sue continue metamorfosi, e l'artista, non più in un sentimento impetuoso, ma calmo, paziente, deve essere in grado, anche attraverso la disciplina e lo studio delle tecniche, produrre e incarnare nella materia tali forme essenziali, così come hanno saputo fare l'arte antica e rinascimentale che diventano veri e propri modelli a cui ispirarsi. Su Schelling, Pareyson è proprio una miniera d'oro. L'arte diventa organo della filosofia per essere unità di conscio/inconscio, spirito e natura nel Sistema della filosofia trascendentale. In Bruno analizza la prima parte, dove nell'Assoluto verità e bellezza coincidono, e la filosofia, contrariamente a prima, diventa superiore all'arte, perché il il suo intento è la contemplazione dell'Assoluto in sé nella identità di reale e ideale, mentre l'arte al suo culmine non giunge mai a tale identità ma soltanto all'indifferenza tra ideale e reale. Quel che ho scritto è meno del minimo, perché si tratta davvero di un lavoro monumentale, fatto di rigore e di collegamento con gli altri romantici.
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