Si può storcere il naso quanto si voglia ma senza la pubblicità la grande macchina dell'informazione giornalistica avrebbe oggi ben più ruggine di quanto glie ne stia procurando l'accelerata evoluzione delle tecnologie. Televisione e radio campano, sostanzialmente, di pubblicità; i giornali ne ricavano più del 60 per cento dei loro bilanci in crisi; e gli stessi nuovi media che ormai si vanno impadronendo d'ogni spazio informativo guardano alla pubblicità con attenzione ugualmente supplichevole, posto che i loro editori non sono benefattori dell'umanità nemmeno quando sotto questa loro attività celano interessi di altra natura. Dal tempo dei "persuasori occulti" di Packard (ed è un'analisi che dopo più di mezzo secolo conserva intatta la sua puntualità metodologica) alla nuova società liquida e agli studi di Fabris e Testa dopo Habermas e Debord, il problema delle relazioni tra il messaggio pubblicitario e il suo destinatario permane ancorato alla definizione condivisa d'una norma etica che dovrebbe garantire la veridicità del messaggio a difesa del consumatore. La definizione di questa etica, però, si è resa sempre più problematica, e complessa, per il ruolo progressivamente debordante che la pubblicità si è conquistata nella società iperconsumista, rendendo perciò difficile la decodifica dei contenuti reali in tanto affollato overloading; ma, anche, più complessa e problematica per le raffinatezze che le metodologie della comunicazione (soprattutto la forma emozionale del messaggio iconico) offrono oggi al pubblicitario, con il povero destinatario dello spot bombardato e traversato da suggestioni dove la manipolazione digitale integra a meraviglia reale e virtuale sconvolgendogli una pur minima capacità di raziocinio. Veronica Neri, docente di comunicazione a Pisa, si muove in questo terreno, ambiguo per natura, con una sua convincente idea del dovere di fondare una strategia etica, proposta ovviamente come utile per una difesa del consumatore dal persuasore occulto, ma da lei considerata anche come "necessaria" per la sopravvivenza stessa della metodologia pubblicitaria (l'advertising che si reinventa nell'invertising di Paolo Iabichino). M. C.
Leggi di più
Leggi di meno