Essenzialista, etnocentrico, teleologico. Sono questi i tre aggettivi con i quali Jack Goody, nel suo Eurasia. Storia di un miracolo, etichetta l'approccio degli "europeisti", intesi come gli studiosi che hanno posto le condizioni per una lettura della rivoluzione industriale come miracolo europeo, connettendola a una pretesa "unicità" dell'Europa, con un tono autocelebrativo riferito al continente o, in una visione più ristretta, alla sua porzione occidentale o addirittura solo all'Inghilterra, come è avvenuto nel caso dell'evoluzionismo vittoriano. La nascita e la perpetuazione di questa interpretazione sono state determinate dal modo in cui è stata posta la questione di fondo: "Perché le civiltà orientali non sono riuscite a costruire un sistema capitalista? Quali 'caratteristiche uniche' della civiltà occidentale hanno portato all'ascesa di tale sistema?". Da tale impostazione è scaturito un orientamento scientifico teso a sottolineare le differenze tra Europa e Asia, mentre lo sforzo dell'autore consiste nel riannodare i fili delle analogie trascurate (aggiungendo così un nuovo episodio al dibattito sullo sguardo comparativo come ricerca delle differenze o delle similarità). Il nucleo del volume risiede nella ridefinizione dello spazio-tempo pertinente. Allargando lo sguardo dall'Europa all'Eurasia e da un orizzonte temporale molto limitato al più ampio scenario delle condizioni comuni a Europa e Asia a partire dall'Età del bronzo, Goody mette in luce come la recente avanzata dell'Asia non sia una sorpresa né una novità, ma piuttosto un progressivo ritorno alla supremazia in una dinamica di alternanza. Dal punto di vista dell'antropologo anglosassone, il suddetto miracolo europeo "è parte di un più ampio fenomeno eurasiatico" che si è manifestato nella forma dell'alternanza della supremazia tra Europa e Asia. Per comprendere l'ultima fase, quella che presa isolatamente è stata funzionale all'interpretazione eurocentrica, è dunque necessario fare alcuni passi indietro. Contro ogni illusione autocelebrativa degli europei, e producendo un'argomentazione simile sul piano logico a quella secondo cui l'evoluzione dell'essere umano si spiegherebbe a partire dalla sua incompletezza, l'autore ritiene plausibile che ciò che permise all'Europa occidentale di "assumere un temporaneo ruolo dominante" sia stata la sua "relativa semplicità (o addirittura 'arretratezza')". La tesi di Goody è basata sulla consueta ricchezza debordante di spunti che gli permette di ritornare su temi che aveva già trattato in alcune sue opere precedenti. Su ciascuno dei tratti distintivi della cosiddetta unicità dell'Europa, che sono stati intesi anche come le condizioni per il sorgere del capitalismo industriale avanzato, l'autore mette in luce le analogie con l'Asia. Ne emerge l'affresco dell'andamento sinusoidale della supremazia europea, fatto di evoluzioni e involuzioni, di sguardi retrospettivi e di scambi fruttiferi, di "comunicazione tra culture che comporta la fioritura prima di una poi di un'altra, dal momento che esse (
) si fertilizzano a vicenda", un'alternanza di cui non si può non tenere conto senza incorrere in un "travisamento della storia mondiale". Come spesso accade in antropologia quando si traccia un bilancio critico degli strumenti concettuali, l'autore si impegna a sfumare alcune dicotomie troppo nette, quali quelle fra "modernità e tradizione, era industriale ed era preindustriale, mondo evoluto e mondo primitivo: in sostanza, tra 'noi' e 'loro'". Non mancano riferimenti al ruolo che hanno avuto sociologia e antropologia ad esempio attraverso Ėmile Durkheim, Marcel Mauss e Louis Dumont ‒ nel rinforzare le suddette dicotomie declinandole parallelamente a una pretesa irriducibile differenza tra Europa e Asia. I bersagli principali della rivisitazione sono peraltro gli studiosi "europeisti" che hanno lavorato su un terreno concettuale riconducibile principalmente a Max Weber e Thomas Malthus, promuovendo così un'essenzializzazione dell'Asia. Proprio per allargare la prospettiva, Goody prende le distanze da visioni dello sviluppo "aspramente criticate (
) da alcuni studiosi non europei che hanno scoperto 'germogli di capitalismo', e quindi di individualismo e imprenditorialità, nelle proprie società", e dichiara che la sua proposta di rivalutazione "dovrà senza dubbio essere portata a termine da uno storico proveniente da una cultura non occidentale". Sembra dunque che questa operazione di riconsiderazione volta a reindirizzare lo sguardo occidentale per evitare l'autocelebrazione, integrando tale punto di vista con altri, debba avere fondamento scientifico, prima che etico. Non è la retorica dell'altrui diritto alla parola a guidare la stesura di Eurasia. Storia di un miracolo. Al contrario, è la rilettura dei dati noti e la considerazione di altri dati dimenticati a costituire la base di una solida critica dell'etnocentrismo, vale a dire di uno dei compiti principali dell'antropologia. Gaetano Mangiameli
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