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Tra il XVIII e il XX secolo, le metamorfosi dell'iconografia regionale hanno mostrato (come l'icona dell'"Angelo suggellato" descritta in un racconto di Leskov) la "sembianza sconvolta" della Russia. L'iconografia è il "nodo di Gordio" della comunità nazionale ed è stata recisa e sostituita con un'altra immagine. Tra erranza e stabilizzazione, infatti, la sembianza della Russia è stata "sconvolta" nel 1917 e nel 1991 e le due trasfigurazioni geo-politiche e geo-culturali hanno prodotto iconografie sostitutive.
L'icona non è solo un'opera d'arte religiosa; nella Russia moderna, infatti, si è manifestata, secondo Strada, una sorta di "ideologizzazione dell'icona": dopo la metamorfosi europeizzatrice del XVIII secolo, l'Europa fu percepita (in particolare dagli slavofili) come un'"anti-icona". Nel fuoco della controversia iconologico-iconoclasta, la cultura russa ha oscillato tra due poli, tra l'"armonia sovramondana" della Santa Russia e la "caoticità terrena" prodotta dall'influsso delle idee provenienti dall'Europa. La dialettica tra armonia e caos attraversa la storia della cultura russa (dalla Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij al Maestro e Margherita di Bulgakov): il Cristo russo, icona "tormentosa e tormentata", appare sempre in compagnia del suo Avversario. Tra il 1905 e il 1917, la Santa Russia non fu un katekon in grado di frenare le forze del caos e la sua estrema rivelazione fu l'Apocalisse rivoluzionaria e il "regno dell'Anticristo".
Il confronto dialettico tra icona e "anti-icona" è la necessaria premessa istoriosofica sulla quale si fonda la "dinamica" della cultura russa che, secondo la semiotica storica di Lotman, si è forgiata su "modelli duali". La "dualità culturale" è racchiusa nella dicotomia "antichità vs novità" che si è affermata soprattutto a partire dalle riforme di Pietro il Grande che hanno orientato la storia politica e culturale russa verso un distacco dal periodo precedente. Dopo il crollo dell'Urss e la fine della metamorfosi ideocratica (che pretendeva di assurgere a modello universale) ritorna al centro del dibattito culturologico il "vecchio problema Russia-Europa". Con la sua iconografia antinomica??? e ambivalente la Russia appare anche come una circostanza estrema e liminale della civiltà europea; questo nodo problematico, perciò, non può essere sciolto ridefinendo l'iconografia regionale postsovietica in base alle fumisterie esoterico-geopolitiche degli eurasisti o in base alle immagini mitiche di una cultura esotica che sembra non avere una propria assiologia (Figes, per esempio, cfr. "L'Indice", 2005, n. 1, descrive la Russia come una sorta di Arcadia intellettuale e contadina che inscena un'erratica danza tra Oriente e Occidente). Nel XXI secolo, l'eterotopia geo-culturale russa ha poi generato la tentazione di riaffermare l'esclusiva particolarità dell'"idea russa", quale archetipo della peculiare missione storica della Russia.
Nell'epilogo "incompiuto e provvisorio" di La questione russa. Identità e destino (Marsilio, 1991) Strada sostiene che, al di là delle "intermittenze turbolente" è necessario identificare il destino della Russia che, dopo la catastrofe geopolitica dell'Urss, ha riscoperto la propria "europeità". L'epilogo "provvisorio" di La questione russa è la necessaria premessa alla raccolta di saggi EuroRussia , nella quale Strada ricostruisce la genealogia dell'europeizzazione e della modernizzazione della Russia dall'epoca di Pietro il Grande alla rivoluzione del 1917 (prima parte di un dittico; un prossimo libro infatti sarà dedicato alla Russia del XX secolo) e dalla quale si può trarre un diversa geo-filosofia della Russia. L'EuroRussia, infatti, riaffiora come un'Atlantide sommersa con le sue mappe del tempo e dello spazio che Strada indaga con perizia e acribia, ricollegando tra loro i sentieri interrotti di una vicenda culturale che ha subito piccole e grandi apocalissi, e indicando gli orizzonti perduti e ritrovati del paesaggio culturale russo.
L'iconografia dell'EuroRussia raffigura un paesaggio storico-politico dominato dall'immagine dell' intelligencija (non a caso nella Russia postsovietica intelligentovedenie , lo studio dell' intelligencija , è una disciplina accademica), alla quale Strada dedica un illuminante saggio. L' intelligencija , quale élite laica, comparve nel paesaggio culturale nel XVIII secolo con l'esordio del "periodo pietroburghese" della storia russa, quale incarnazione dell'autocoscienza nazionale. Come sottolinea Strada, la "ricerca culturale" si è saldata con la "definizione dell'identità nazionale e con la questione sociale", e si è caratterizzata come un romanzo di formazione (e di deformazione) della "sembianza" della Russia. Il termine intelligencija fu introdotto negli anni sessanta del XIX secolo dallo scrittore Pëtr Boborykin e ha subito una sorta di biforcazione semantica: da una parte il termine designava il "ceto colto", dall'altra venne utilizzato per indicare il partito progressista e rivoluzionario costituito dai narodniki . La "traiettoria storica" dell' intelligencija russa può comunque essere divisa in due "grandi fasi": la prima si è svolta tra la fine del XVIII e l'inizio del XX secolo; la seconda, quella "sovietica", va dal 1917 al 1991. Nella seconda metà del XVIII secolo, Caterina II definiva nel Nakaz (Istruzione) la Russia una "potenza europea": gli stessi philosophes (in particolare Voltaire e Diderot) restarono sedotti dal mirage russe . Il "segno permanente e grandioso" della metamorfosi russa settecentesca è il "fenomeno Pietroburgo": Pietroburgo non è del resto solo la capitale more geometrico costruita dello "Stato regolare" di Pietro il Grande, ma anche l'emblema della nuova Roma, il centro dell'impero romano d'Occidente "rinato in terra eurasiatica": in tal modo, perde la sua centralità l'ideologia moscovita della "Terza Roma".
La contesa fra Pietroburgo e Mosca è stata al centro della diatriba istoriosofica del XIX secolo tra occidentalisti e slavofili. Nel XXI secolo tale contesa sembra essersi risolta a favore della "sregolata vitalità" di Mosca, anche perché Pietroburgo subisce una damnatio memoriae per essere stata la capitale della rivoluzione (e dell'Anticristo) e, forse anche per questo, continua ad avere una sua "tragica nobiltà".
La "sintesi mirabile" tra i secoli XVIII e XIX fu realizzata da Puskin, che (insieme a Lermontov) è una delle figure "colossali" di quel che Dostoevskij ha definito "byronismo russo". Quale manifestazione estetico-ideologica del nichilismo dell'angoscia di fronte alle "questioni insolute e tormentose", il byronismo ha mostrato che la Russia è una circostanza estrema della civiltà europea. Una figura emblematica del byronismo russo è quella del poeta-filosofo Dmitrij Venevitinov (morto poco più che ventenne) che si inserisce in quel filone del pensiero musicale e "panestetico" (che nell'"età d'argento" raggiungerà il proprio acme nell'opera poetica di Blok) e che sosteneva l'idea dell'"autoconoscenza" della Russia, quale concentrazione della cultura russa su se stessa per radicarsi nei "solidi principi" della filosofia europea (in particolare la "filosofia della rivelazione" di Schelling, che aveva orientato anche la ricerca istoriosofica del circolo moscovita dei Ljubomudry creato nel 1823 da Odoevskij e che si contrapponeva all'"abisso di negazione" degli hegeliani russi, destinato a giungere al "perfetto ateismo e materialismo").
Il byronismo russo ha indossato anche la maschera beffarda dell'ironia dissacrante; la "linea ironica" della letteratura russa contempla diversi tipi di ironia: l'ironia "scettica" di Puskin, quella lirica di Cechov e quella "enigmatica" e "nichilistica" di Gogol'. La "linea epico-tragica" è stata, invece, inaugurata da Tolstoj e Dostoevskij, e attraversa gran parte della storia del romanzo russo fino all'epoca sovietica. Nel corso di quest'epoca, la dialettica fra utopia (il radioso avvenire comunista) e tragedia (il suo inveramento) ha trovato espressione sia nell'epos rovesciato di Zamjatin ( Noi è la cupa celebrazione della felicità universale realizzata dallo Stato Unico che ha come supremo "reggitore" il Benefattore), sia nella satira (come nel caso dei racconti di Bulgakov Cuore di cane e Le uova fatali , che ridicolizzano l'onnipotenza delirante della scienza sovietica impegnata a creare l'uomo nuovo).
Il romanzo russo, secondo Strada, è lo "specchio" della vicenda "interiore" dell'intelligencija e, quale strumento di "passioni intellettuali" e di lotta ideologica, è sopravvissuto alla subordinazione della cultura al partito comunista (secondo il dogma della "partiticità" formulato da Lenin nel 1905) e al Gulag, diventando, con Solzenicyn, la massima espressione del dissenso. Nella Russia postcomunista l' intelligencija (definita dai dispregiatori neopopulisti la "feccia di Boborykin") è stata "detronizzata" e sulla sua sorte Strada pone una duplice suspense interrogativa: "fine catastrofica" dell' intelligencija o sua "positiva trasformazione"? Nel contesto della "democrazia guidata" di Putin, il processo di modernizzazione sembra procedere "faticosamente con arresti e deviazioni". L' intelligencija (non più "tribù istruita" e taumaturgica che pretende di incarnare la provvidenza storica e con la sua demiurgia prometeica afferma di conoscere il segreto del miracolo sociale) dovrebbe ridisegnare l'iconografia del cronotopo EuroRussia con "una visione critica e costruttiva del proprio passato storico e un progetto di 'società aperta' per il proprio presente e futuro".
Roberto Valle
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