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Con una lunga carriera di docente di filosofia e storia della scienza e una nutrita serie pubblicazioni dedicate in particolare alla figura e al caso di Galileo, Annibale Fantoli non ha certo lo stile dello scrittore di fantascienza. Il suo libro si inserisce a pieno titolo in una riflessione che ha un andamento carsico tra gli astronomi cattolici, ma che di recente è apparsa alla ribalta della stampa nazionale, con le dichiarazioni, susseguitesi a distanza di pochi anni, dei direttori dell'osservatorio astronomico del Vaticano, i padri George V. Coyne e José Gabriele Funes.
Per mantenere uno stile giornalistico, si potrebbe parlare della rivincita di Tommaso Campanella, dopo quattro secoli di attesa: gli astrofisici vaticani sembrano aver abbracciato infatti le tesi di quest'ultimo sulla vita extraterrestre e sulla sua compatibilità con la fede e la Scrittura. Pensare che l'universo possa ospitare altre forme di vita oltre alla nostra sarebbe del tutto compatibile con l'infinita potenza creatrice di Dio e non contravverrebbe al dogma della redenzione, dal momento che è perfettamente possibile ritenere che solo gli esseri umani abbiano peccato e che dunque l'incarnazione del Verbo sia stata necessaria solo sulla Terra. Un abbandono dell'antropocentrismo biblico che non contraddice però l'unicità dell'esperienza umana, anche a livello religioso. Si tratta di un punto di arrivo, di certo non unanime e forse non definitivo, e Fantoli ce ne mostra la lunga storia.
Il suo libro ha il pregio raro di coniugare diverse prospettive di indagine: ci mostra le differenti risposte date nei secoli alla domanda se esista o sia esistita la vita al di fuori della Terra, ma è ugualmente attento ai presupposti e alle ricadute filosofiche e teologiche di tali risposte. A parte che per la nutrita schiera di quanti credono di aver visto degli Ufo, infatti, l'esistenza degli extraterrestri è un problema tuttora aperto. Negli ultimi, interessanti capitoli, Fantoli ci mostra come il progredire delle ricerche astronomiche e dell'esplorazione dello spazio abbia di volta in volta ostacolato o favorito questa ipotesi tra gli astronomi. Attualmente, l'osservazione di numerosi pianeti orbitanti intorno a stelle vicine al nostro sistema solare, proiettata statisticamente, e la presenza degli aminoacidi e di altri mattoni della vita organica anche al di fuori della Terra fanno propendere molti astronomi e astrofisici verso un moderato ottimismo. Del tutto diversa la posizione dei biologi, che invece sottolineano molto di più l'enorme numero di fattori necessario alla nascita della vita e al suo sviluppo fino all'intelligenza umana: una serie difficilmente ripetibile. In assenza di prove sperimentali, che potrebbero mancare anche a lungo se non per sempre, l'indagine sugli extraterrestri prosegue così con criteri rigorosamente scientifici, ma ciò che spinge i singoli scienziati a pronunciarsi più o meno favorevolmente sulla loro esistenza sono fattori in gran parte extrascientifici, di ordine latamente filosofico o religioso.
Se poi ci volgiamo ai secoli passati, vediamo che, fino a quando è prevalso il modello cosmologico aristotelico, con la sua rigida divisione tra mondo celeste e mondo sublunare, era impossibile ipotizzare la presenza di vita su altri corpi celesti. Con la crisi di questo paradigma, la rinascita di altre filosofie antiche e la diffusione del copernicanesimo, in molti settori intellettuali europei scatta progressivamente una duplice analogia, che conduce a un inquietante interrogativo: se la Terra è un pianeta come gli altri, e il Sole una stella come le altre, perché gli altri pianeti del sistema solare e quelli che circondano le altre stelle dovrebbero essere privi di vita? Dove il dibattito può svilupparsi liberamente, senza i pesanti interventi censori della chiesa cattolica, ben presto una parte cospicua anche del mondo religioso si schiera a favore della pluralità dei mondi abitati: in nome della gloria di Dio, del recupero del finalismo (stelle e pianeti non devono esistere invano) e di un antropocentrismo aggiornato (anche questi altri pianeti devono godere del privilegio di ospitare forme di vita, magari molto somiglianti alla nostra, sebbene più evolute). Avviene così in Gran Bretagna fin dalla metà del Seicento, dove vari esponenti del clero anglicano adottano queste teorie.
Lo sviluppo di queste tesi necessita tuttavia di un profondo ripensamento della dogmatica cristiana. Chi si dichiara favorevole all'esistenza degli extraterrestri deve non solo accettare di interpretare l'incarnazione e la redenzione proprio nel senso in cui lo fanno oggi i vertici degli astronomi vaticani, ma anche essere disposto a relativizzare il racconto biblico: quest'ultimo sarebbe diretto esclusivamente agli umani e narrerebbe avvenimenti che riguardano solo loro, con un punto di vista centrato sulla Terra che non corrisponde necessariamente alla realtà complessiva delle cose. Altrettanto radicale deve essere la trasformazione dell'immagine dell'essere umano, che viene certamente ridimensionata, rispetto a quando era posto al centro dell'universo e anche delle attenzioni di Dio. L'antropocentrismo, tuttavia, è duro a morire e riesce a trasformarsi in modo imprevedibile: ci sono esimi scienziati, come Christiaan Huygens, che, alla fine del Seicento, non riescono a fare a meno di descrivere gli extraterrestri come decisamente simili a noi, seppure esenti dai nostri vizi; altri, come Camille Flammarion, quasi due secoli dopo, hanno abbandonato questa idea, ma poi affermano che anche per gli abitanti di altri mondi possano valere i nostri valori, le nostre idee di bontà, bellezza e verità. Un universalismo inguaribile, direbbero i filosofi della politica.
Antonella Del Prete
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