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Le storie dei capitani di industria raccolte nei due capitoli dedicati a ”il mito e il mattone” e a “padroni e territorio” che costituiscono la prima parte del volumetto sono di carattere prettamente agiografico e ci riportano ad un tempo ormai finito forse per sempre. Più attuale la seconda parte (“operai e post-operai”) dove si descrivono le difficili condizioni odierne dell’occupazione: le riduzioni di personale, i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, i lavori atipici. Per fortuna si chiude con una nota di speranza , con la storia di un azienda costituita da “sei amici al bar che conquistano l’America”. E per una volta vorrei fare un po’di pubblicità gratuita a quei sei ragazzi: la Società si chiama Eurotech e si trova ad Amaro in provincia di Udine.
non concordo con l´altro commento. il libro non mi é sembrato particolarmente padronale, piú un excursus nostalgico in un´Italia pre- durante- e postboom, dove spesso forze contrastanti (gli operai e appunto i padroni) si saldavano remando nelle stessa direzione. l´ho trovato un libretto certo senza pretese di completezza ed esaustivitá, ma una gradevole carrellata di aneddoti e piccoli ritratti.
Questo libro mi è stato regalato, altrimenti non lo avrei mai acquistato. Ho letto quasi tutti i racconti: sono monotoni, sfacciatamente filo padronali e l'autore sembra giudicare in maniera troppo neutrale il fascismo che caratterizzò spesso le biografie degli imprenditori descritti. Un'ultima osservazione: Adriano Olivetti non avrebbe dovuto fare parte di questa carrelata? Direi di no, visto il mediocre lavoro di Galdo.
Recensioni
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Il Novecento è coinciso con l'età dell'industrializzazione, un processo dai tratti epici, attraverso il quale l'Italia ha conquistato la sua modernità. A questa stagione è dedicata, con un racconto brillante, a metà tra l'aneddoto e il civismo, l'agile quanto utile ricostruzione di Galdo. Scorrono le fortune delle grandi dinastie che hanno fatto la storia dell'industria italiana, i Pirelli, gli Agnelli, i Falck, i Piaggio, i Marzotto, "padri-padroni" il cui autoritarismo si accompagnava all'amore per la fabbrica e che, ad alcune fabbriche, hanno legato il loro nome: lo stabilimento della Bicocca, fabbrica-città che ha segnato lo sviluppo urbanistico di Milano, il Lingotto e il suo design futurista, ammirato da Le Corbusier, che racchiude la fabbrica-caserma, le ciminiere di Sesto San Giovanni, la Vespa dell'ingegner Corradino D'Ascanio realizzata, al posto dell'elicottero dei sogni, alla Piaggio di Pontedera, il villaggio operaio di Valdagno e il mito paternalistico della "città dell'armonia". Poi vi sono gli operai, i caschi gialli dell'Italsider, così come le generazioni di tute blu che si sono avvicendate alle acciaierie di Terni. Rimane sullo sfondo il conflitto sociale che pure ha attraversato il secolo: il gelo delle maestranze Fiat ai discorsi del duce, la folla che nel '68 atterra la statua di Gaetano il Vecchio, fondatore dell'impero Marzotto, la difesa senza speranze degli altiforni di Bagnoli, alla fine dismessi e venduti alla Cina. Nell'età della new economy e del capitalismo dei servizi rimane poco di questa vicenda. Ruderi di archeologia industriale trasformati da architetti di grido in avveniristici spazi abitativi o commerciali, proprietà di immobiliaristi che fanno le cronache non sempre nobili della finanza nostrana, la precarietà flessibile del lavoro all'Atesia, fabbrica postmoderna e metafisica.
Nino De Amicis
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