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"False coscienze" raccoglie tre racconti, il migliore dei quali e' l'ultimo: "La voce del coniglio". Quest'ultimo testo ha per protagonista Pietro, insegnante nevrotico incapace di ottenere un'indipendenza psicologica dalla madre a cui lo lega un'astio e un odio vicendevole che si rinfacciano l'un l'altro. Preso da cosi' forti sentimenti, a volte contraddittori, non riesce a mantenere la sua lucidita' e sempre di piu' e' preso da una serie di reazioni e atti irrazionali che mostrano anche l'incapacita' di relazionarsi con l'altro sesso. Ottimi e affilati dialoghi tra madre e figlio, interessante la descrizione psicologica che segue Pietro lungo la sua "crisi".
Recensioni
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Mi capitava anche quando andavo a scuola (soprattutto alle medie) di rimanere muto (e disperato) davanti al tema in classe, non riuscivo a tirare giù nemmeno una parola. Allora la colpa era della stupidità degli argomenti proposti: sui quali azzardare una qualche riflessione equivaleva a vergognarsi di averlo fatto. La stessa cosa mi sta capitando davanti a Salse conoscenze. Tre parabole degli anni zero di Matteo Marchesini, ma questa volta la mia paralisi ha motivazioni tutto diverse, anzi opposte. È anzi un testo di grande qualità, ricco di lingua e di stile, dove vocabolario grammatica e sintassi gareggiano a sviluppare un’eloquenza serrata cui l’autore dedica compiacimento e astio... È elegante e insieme dispettosa, sempre pronta a far posto a sgradevolezze e rifiuti. La cosa migliore, per me lettore, sarebbe dichiarare il mio apprezzamento e farla finita lì.
Un racconto, un romanzo, anche se attraverso una violenta destrutturazione (come succede nei grandi capolavori della modernità), costruisce sempre una proposta di mondo, innalza sempre un picco in cui siede (e vive) una diversa vita e imprevista realtà. La destrutturazione è servita a frantumare il dato dell’esperienza (qualunque esso sia) ormai spento e consunto e riaprirlo verso nuovi aspetti (e parti) ancora vivi, o meglio nuovamente vivi. Così Musil o Kafka (per dire gli scrittori che Marchesini ama – ma anche L’urlo e il furore di Faulkner). Marchesini invece preferisce costruire cumuli (della forma che solitamente assumono le sepolture – di fronte alle quali, se non sono di nostri parenti, in genere rimaniamo estranei). Fatto sta che per me leggere le parabole di Marchesini è come visitare un cimitero (visita che non uso fare, nemmeno se si tratta del Père Lachaise a Parigi o del Cimitero Acattolico alla Piramide di Roma). Non ne ricavo alcun vigore, né è il modo giusto per attivare la memoria.
Quando leggo i testi di False coscienze ho come la sensazione di essere investito dall’alto da una pioggia di detriti, indubbiamente preziosi, che cadono tutti perpendicolarmente e finiscono a terra. Inutilmente aspetto che a un certo cambino verso e devino verso qualcosa che non solo a me lettore, ma anche a lui autore, sia ancora ignoto. La pioggia (la caduta verticale) dei detriti è inarrestabile, percezione che si rafforza di fronte alla perfezione con cui ogni detrito è costruito: elegante di forma, giustamente denso di colori, veloce per efficacia. Marchesini li ha costruiti con la sua sapienza di critico (letterario), che sappiamo ricca e sofisticata. Anzi, diciamoci la verità, l’impressione è che Marchesini narrativizzi la metodologia scientifica del fare critica (letteraria) rovesciando la sequenza tra testo e analisi. Non sono sufficientemente robusti (anzi fragilissimi) i tre obiettivi mirati nelle (tre) parabole: né lo sbriciolamento di un amore coniugale, né la durezza del rapporto madre figlio, né l’umiliazione della presunzione giovanile sconfitta dalla sbertucciata normalità esercitano un richiamo sufficiente: sono avvertimenti che ritornano da sempre nell’affollamento della narrativa più venduta.
Recensione di Angerlo Guglielmi.
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