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Fascismo, democrazia e socialismo. Comunisti e socialisti tra le due guerre - Claudio Natoli - copertina
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2000
1 aprile 2000
336 p.
9788846421043

Voce della critica


recensioni di Rapone, L. L'Indice del 2000, n. 10

"Robespierristi, antirobespierristi, noi vi chiediamo grazia: per pietà diteci, semplicemente, chi fu Robespierre". Che cosa c'entra questa citazione dall'Apologia della storia di Marc Bloch con un libro che tratta di comunisti e di socialisti, di lotta al fascismo e di altri argomenti legati alla temperie dell'entre-deux-guerres? C'entra, tant'è che Claudio Natoli, autore del libro in questione, nelle pagine iniziali del suo testo si appoggia proprio all'autorità del maestro della storiografia francese per rendere edotto il lettore dell'ispirazione che lo ha guidato nel lavoro e del sentimento che prova dinanzi alla piega assunta dalla discussione politico-culturale attorno ai temi che lo hanno impegnato. A quanti scambiano l'ufficio della storiografia con la deplorazione del passato, a quanti in particolare ritengono che della storia della sinistra valga la pena occuparsi solo allo scopo di scorgervi l'inveramento dell'Errore e di allestire processi, Natoli oppone la polemica di Bloch contro gli "storici predicatori" e se ne avvale per dimostrare la povertà concettuale di una storiografia che rilegge il passato adottando come metro di giudizio i paradigmi del presente. "Assolutizzando i criteri, puramente relativi, di un individuo, di un partito, di una generazione, che stupidaggine applicarne i dettami al modo in cui Silla governò Roma o Richelieu gli stati del re cristianissimo!"
Fascismo democrazia socialismo è una raccolta di saggi scritti nell'arco di un quindicennio, frutto di accuratissime ricerche, nei quali l'autore si è proposto da un lato di scandagliare le ripercussioni che l'ascesa dei fascismi sul piano internazionale negli anni trenta del Novecento ebbe sulla cultura e sulla prassi politica delle sinistre italiane ed europee ("Per le forze del movimento operaio nulla sarebbe stato più come prima"), dall'altro di valorizzare l'apporto che l'antifascismo, come fenomeno culturale oltre che politico, ha fornito alla crescita civile dell'Europa. Questo secondo aspetto sarebbe stato non molto tempo fa scontato: oggi marca invece un discrimine rispetto a quelle interpretazioni che, sulla scorta di François Furet, individuano nell'antifascismo un pianeta del sistema solare comunista. Per Natoli l'antifascismo rappresenta invece una realtà "costituita da una molteplicità di componenti", il cui approdo unitario "non significò una rinuncia alla propria identità o una convergenza di segno meramente negativo, bensì la progressiva acquisizione di un sistema di valori condivisi, antitetici a quelli impersonati dal fascismo". Il "mito dell'Urss" rappresentò indubbiamente un potente fattore di mobilitazione antifascista, ma l'autore fa giustamente notare quanto poco aiuti a capire che cosa il comunismo come movimento reale abbia rappresentato nella storia europea tra la metà degli anni trenta e la metà dei quaranta il ricondurne tutte le manifestazioni, tutte le pulsioni, tutte le realizzazioni nella categoria indifferenziata dello stalinismo, dilatandola fino a comprendervi ogni politica di sinistra che abbia cercato il proprio indirizzo fuori dei canoni della democrazia occidentale.
Tra gli argomenti più approfonditi da Natoli vi è innanzitutto l'analisi attenta delle articolazioni interne del comunismo internazionale, di quella dialettica tra "rinnovatori" e "conservatori" che si apre nella Terza internazionale dopo l'avvento al potere di Hitler nel 1933 e che vede emergere la figura di Dimitrov come ispiratore di una linea politica tesa a fare dei partiti comunisti il motore di schieramenti più ampi nella lotta contro il fascismo e a difesa della pace. La freddezza di Stalin verso questa applicazione espansiva della politica dei fronti popolari è ampiamente documentata, e la ricerca di Georgi Dimitrov, benché destinata a restare compressa entro i ristretti e reversibili limiti della compatibilità con gli orientamenti della leadership sovietica, si configura, più che come proiezione internazionale dello stalinismo, come un tentativo di adattare la strategia comunista alle particolarità della lotta politica fuori dell'Urss, venendo così a inscriversi nel filone aperto alla metà degli anni venti dalle riflessioni di Gramsci sulle differenze tra Oriente e Occidente (tema, pure questo, cui Natoli dedica pagine molto attente). L'aspetto assai interessante che emerge dal libro è la circolarità di temi e di propositi che di fronte all'ascesa internazionale del fascismo e alla crisi delle società occidentali si creò tra quest'ala innovatrice del movimento comunista e ambienti del socialismo di sinistra, emblematicamente rappresentati dall'austromarxismo di Otto Bauer, i quali vantavano una primogenitura nella ricerca di una "nuova democrazia" che, senza ricalcare il modello sovietico, avrebbe dovuto coniugare esercizio delle libertà e fuoriuscita dal capitalismo.
Se ne dovrebbe dedurre che una storia delle culture politiche della sinistra europea dell'entre-deux-guerres, e in particolare del loro rapporto con l'idea di democrazia, non può risolversi, come oggi per lo più si tende a credere, nella misurazione della distanza che le separa da principi e acquisizioni maturate nel prosieguo dell'esperienza storica, ma deve in primo luogo proporsi di ricostruire il contesto entro cui da un lato, in una parte del campo socialdemocratico, maturò l'esigenza di elaborare nuovi modelli istituzionali ed economico-sociali in risposta alla crisi delle democrazie liberali e del mercato capitalistico, proprio mentre, dall'altro lato, la pratica della lotta antifascista induceva settori del movimento comunista ad apprezzare il valore delle conquiste democratiche e a immaginare per l'Occidente uno sviluppo verso forme originali di democrazia sociale. Sovrapporre a queste ricerche l'immagine delle democrazie popolari dei tardi anni quaranta sarebbe sbagliato: non per ossequio al feticcio di una storia che sarebbe potuta andare diversamente, ma perché se si riduce un processo storico in fieri a quanto sappiamo essere accaduto dopo non si arriverà mai a coglierne la complessità e la ragione.

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