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libro grazie al quale ho scoperto un altra verità
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Sono vari e complessi i versanti dell'antisemitismo: politico, culturale, sociale. Per chiarirne lo sviluppo in epoca fascista, Enzo Collotti sceglie di esaminarli organicamente, inserendoli in una prospettiva diacronica che trae avvio dall'epoca dell'unità. Scandaglia quindi la storia nazionale individuando al suo interno il progredire e il regredire, per flussi e riflussi, dell'antisemitismo. Giunto al periodo fra le due guerre, concentra l'attenzione sui dispositivi posti in essere dal regime per convogliare la discriminazione contro una minoranza (1,1 per mille), fin lì peraltro esemplarmente leale verso il proprio paese. Due sono le ragioni prime individuate per le leggi razziali del 1938: gli orientamenti popolazionistici, volti fin dagli anni venti a diffondere un'immagine del paese florida e vigorosa, e la politica di tutela della razza, impostasi con l'attacco all'Abissinia. Legislazione coloniale razzista e legislazione antiebraica si rivelano anzi "due rami che discendevano dallo stesso tronco", nel quadro di una "catena progressiva di separazione tra razzialmente puri e appartenenti a razze inferiori" e di una vera "ossessione contro le contaminazioni razziali", miranti a forgiare l'identità dell'"uomo nuovo" fascista.
Collotti presenta tutto un universo di pseudoscienziati, libellisti, giornalisti d'assalto: da Paolo Orano (che scrive Gli ebrei in Italia) a Giovanni Preziosi, nel cui decalogo antisemita - agosto 1937 - si fa sgorgare l'antisemitismo dall'esigenza di un impero che non potrebbe tollerare la concorrenza di quello sognato invece dagli ebrei; da Interlandi a Romanini a Sottochiesa, fino a Longanesi e Maccari, o agli ebrei fascisti de "La nostra bandiera".
Il Manifesto della razza del 13 luglio 1938, venuto poco dopo la Notte dei cristalli, che Mussolini salutò, in privato, con grande favore, pare oggi un perfetto esempio della bidimensionalità della storia: quel suo carattere che la vede muoversi costantemente tra farsa e tragedia. Improntato a un'esaltazione dell'"indirizzo ariano-nordico" delle concezioni razziste d'Italia, concludeva che gli ebrei "non appartengono alla razza italiana". A questo punto, la creazione del nemico interno, ingrediente indispensabile per ogni guerra, era compiuta; in effetti, le conseguenze della legislazione, fomite per lo più della massima sorpresa fra gli ebrei, furono secondo Collotti "devastanti" per la coscienza civile degli italiani. Nella fase successiva, quella concentrazionaria del tempo di guerra, oltre diecimila ebrei furono mandati al lavoro coatto. Quando i nazisti occuparono il paese, erano già pronti per la deportazione. E come dimenticare che sotto la Rsi essi furono privati della cittadinanza italiana, considerati stranieri appartenenti agli stati in guerra contro l'Italia e privati dei loro beni? Sbagliò dunque De Felice a dire che l'Italia può ritenersi "fuori dal cono d'ombra dell'olocausto".
Una ricca appendice documentaria e una bibliografia ragionata sono poste a conclusione di questo studio brillante ed esaustivo sulla pagina più nera del Novecento italiano.
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