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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2009
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Un concentrato di luoghi comuni politicamente corretti, peraltro raccontati in modo banale. L'unico motivo per cui, in quarta di copertina, qualcuno ha avuto la sfrontatezza di definirlo un "capolavoro" (?!) è che sposa tutti i dogmi della dittatura del pensiero unico occidentale di stampo lib lab.
Dove finisce il genere western e comincia il post-western? Suppongo sia quello con pickup, tablet e cellulari anche se, ovviamente, ci sono ancora cavalli, praterie, bisonti, qualche famiglio nativo, il grilletto facile e la giustizia fai da te; insomma, i cliché sono rispettati. La serie tv Yellowstone con Kevin Kostner ne è un recente ottimo esempio in cui i discendenti degli indiani Crow in doppiopetto gestiscono casinò. Ma Ferito di Percival Everett non ha a che fare con possidenti miliardari: il soprannominato "rancher nero" - semplice e ombroso addestratore di cavalli - con un pesante lutto ancora da elaborare, una brutta faccenda stile Brokeback Mountain con cui confrontarsi e i conflitti razziali sempre in agguato, sono il succo della faccenda. È una letturina facile facile e un po' scontatella che cerca, con tentativi di sagace ironia (soprattutto nei dialoghi), di avvicinarsi a modelli più illustri ed efficaci senza riuscirci granché, pur mantenendo un buon ritmo e una discreta suspense. Ottima, invece, per un'eventuale trasposizione cinematografica, rimane un passatempo per chi non disdegna concedersi anche al facile facile.
Ricorderò questo romanzo per i dialoghi molto cinematografici. La narrazione, in prima persona, è molto solida e coerente nei tempi verbali, che si stia parlando di un sogno o di un flashback. Questo libro mi sarà utile per mantenere lo sguardo del narratore sempre negli occhi del protagonista, poiché ciò è molto utile per caratterizzarlo.
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