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Fidia. L'uomo che scolpì gli dei - Massimiliano Papini - copertina
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Fidia. L'uomo che scolpì gli dei
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Fidia. L'uomo che scolpì gli dei

Descrizione


"Venne il dio sulla terra dal cielo a mostrarti l'effigie, o tu andasti a mirarlo, Fidia, in cielo". Questo si diceva del colosso di Zeus a Olimpia, una delle sette meraviglie del mondo, opera di Fidia, insuperabile nel rappresentare la maestà e la bellezza degli dei. Peccato che l'unica testimonianza personale rimasta dello scultore sia un piccolo vaso a Olimpia con l'iscrizione parlante: "Io sono di Fidia". E le tante statue in oro e avorio, in bronzo e in marmo, che fine hanno fatto? Tutte scomparse. E tutte le nuove opere sull'acropoli di Atene, "realizzate in breve tempo per durare a lungo", furono veramente sotto la sua sovrintendenza? Anche il sodalizio con Pericle, inscindibile per gli autori antichi, quanto fu vero? E dov'è la sua mano nella decorazione del Partenone? Lì di certo Fidia realizzò una magnifica statua in avorio con 1.000 chili d'oro che costò più del tempio: l'Atena Parthénos. Ma non tutto filò liscio. Le invidie all'interno della bottega e la voglia degli oppositori di Pericle di testare il giudizio del popolo sullo statista per interposta persona portarono a sospetti e accuse. Anche altri nella cerchia di Pericle, come la bella etera Aspasia e il filosofo Anassagora, furono presi di mira, ma senza troppe conseguenze. Per Fidia, no, il processo non finì bene.
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Dettagli

2014
9 gennaio 2014
Libro universitario
XX-270 p., ill. , Brossura
9788858109922

Voce della critica

  È uno dei molteplici paradossi che caratterizzano la nostra conoscenza del mondo antico, greco e romano, il fatto che dei più grandi artisti dell'età classica della Grecia non ci sia pervenuto quasi nulla in originale. Le fonti letterarie parlano con ammirazione delle opere di grandissimi scultori come Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele, Lisippo, Skopas, per non citare che i più famosi; o si dilungano a descrivere i dipinti di Polignoto, Zeusi e Parrasio, sottolineando il ruolo di arte guida che la pittura rivestiva nella civiltà greca; ma tutto questo è destinato a rimanere per noi confinato nella sola dimensione delle parole. Descrizioni, commenti, nomi: non ci resta altro. Al massimo, per la scultura, abbiamo le copie. Copie di età romana, che riproducono, spesso in materiali e dimensioni diverse dall'originale, le opere che divennero più famose e popolari. Di originale, pochissimo, se non niente del tutto. È quindi particolarmente importante trarre dalle poche testimonianze originali che ci sono pervenute tutte le informazioni possibili, e guardarle con attenzione, senza lasciarsi però condizionare da un'eccessiva riverenza. È quello che propone Fidia. L'uomo che scolpì gli dei, di Massimiliano Papini, edito da Laterza. L'autore, professore di archeologia e storia dell'arte greca e romana all'Università di Roma La Sapienza e membro corrispondente dell'Istituto archeologico germanico, si occupa del mondo classico soprattutto nella prospettiva della storia dell'arte. In queste pagine, con un'amplissima visione delle fonti letterarie e archeologiche nonché della bibliografia più aggiornata (spesso puntualmente discussa e non di rado criticata nelle sintetiche ma pungenti note a piè di pagina), affronta una delle figure più celebri ma insieme più difficili da afferrare del panorama artistico ateniese dell'età classica. Una delle figure più celebri, perché Fidia fu convocato da Pericle in persona a ridisegnare l'Acropoli di Atene, cuore della città, dopo le distruzioni avvenute durante le guerre persiane, e a decorarne il monumento più insigne, il Partenone; ma anche una delle figure più sfuggenti, perché nonostante la sua notorietà Fidia è ancora, ai nostri occhi, e forse sarà per sempre, sprofondato in un buco nero. Chi era davvero? Ha senso parlare di lui come di un maestro, avvalendosi di una nozione moderna, e perciò un po' fuorviante, come osserva Papini nel testo? Quale fu, nei suoi contorni precisi, il ruolo che gli venne assegnato in quello straordinario cantiere artistico della metà del V secolo a.C.? E che cosa avvenne, precisamente, perché cadesse in disgrazia? Quando, e perché, andò a Olimpia, dove l'archeologia ha identificato la sua bottega e perfino la sua tazza, con tanto di nome inciso? Quesiti che si susseguono capitolo dopo capitolo, e per i quali vengono avanzate ipotetiche risposte, ma che, come lo stesso autore deve riconoscere alla fine della sua disanima, restano in realtà in un cono d'ombra difficile da dissipare; è davvero come "dar corpo a un fantasma", come recita il titolo dell'introduzione. Ciò non significa, naturalmente, che ripercorrere almeno nelle linee generali la parabola della vita e dell'opera di Fidia sia un traguardo totalmente irraggiungibile; e il libro, anzi, ne offre la possibilità con una puntigliosa, avvincente ricostruzione dei momenti principali (affidando ai commenti nelle note una sorta di controcanto che illustra gli sviluppi della ricerca e offre il sostegno della documentazione scientifica più precisa). Si parte nel primo proprio dalla vicenda conclusiva della parabola dell'artista ad Atene, quel processo che gli venne intentato per un'accusa infamante (aver rubato parte dei fondi che gli erano stati conferiti per realizzare la meravigliosa scultura d'avorio e d'oro di Atena, la Parthenos) e il cui esito fu, secondo alcuni, l'allontanamento dalla città (e l'approdo a Olimpia per realizzare la statua crisoelefantina di Zeus), oppure, secondo altri, tra i quali Plutarco, la morte in carcere. Un processo che lascia cogliere in filigrana, pur nella scarsità delle notizie delle fonti, quale doveva essere il clima avvelenato che si cominciò a un certo punto a respirare intorno a Pericle, preso di mira tanto nella vita pubblica quanto in quella privata. Dopo aver ricostruito nei dettagli il ruolo dell'artista antico, Papini segue lo scultore attraverso un'analisi delle tappe della formazione (presso maestri come Agelada di Argo, ricordato anche per la dubbia attribuzione alla sua mano del bronzo A di Riace) e delle opere, fino all'approdo sull'Acropoli. E fino al Partenone, dove l'enigma consiste nel riuscire a ricostruire con esattezza i confini dell'incarico che gli era stato affidato e capire fino a che punto l'artista (epìskopos, ossia sovrintendente ai lavori) intervenne di persona nella decorazione "sporcandosi le mani" e quanto invece si limitò a progettare, disegnare, prevedere, smistare fra gli artigiani della sua bottega. E in che modo: perché anche scoprire come fosse organizzata una squadra di scalpellini in grado di svolgere un lavoro di quella complessità è una bella sfida. Dopo un Intermezzo non numerato, Un dio cacciatore di cavallette per l'acropoli, che descrive la statua fidiaca di Apollo Parnopios, il sesto e il settimo capitolo (rispettivamente Atena Parthenos: la grandezza nei particolari e "Fare a pezzi lo scudo di Fidia non è come fare a pezzi una scopa") entrano nel vivo della storia della Parthenos, la bellissima statua d'avorio e d'oro della dea protettrice di Atene, offrendone una descrizione e i retroscena della realizzazione; l'ottavo capitolo affronta invece la questione dell'Amazzone, statua alla quale Fidia lavorò in competizione con altri scultori celebri del tempo (Un concorso, quattro amazzoni e un perdente, dove il perdente è appunto Fidia, che arrivò secondo dopo Policleto); il nono capitolo è dedicato alla straordinaria e monumentale scultura crisoelefantina dello Zeus di Olimpia, che già agli antichi sembrò rivaleggiare per monumentalità e bellezza con la scultura della Parthenos (Una competizione tra padre e figlia, giacché nella mitologia Zeus è appunto padre di Atena). Infine, il decimo capitolo ritorna sul processo, chiudendo con elegante simmetria il racconto là dove era partito, immaginando un'appassionata autodifesa di Fidia.. Dopo i celebri studi che Bernhard Schweitzer aveva dedicato a Fidia (Alla ricerca di Fidia, Biblioteca storica dell'antichità, 1967), forse nessuno aveva provato a rivisitare con tale ampiezza d'indagine (e pensando a un pubblico altrettanto vasto) l'opera del maestro e il suo contesto. Da allora sono cambiate molte cose: si conoscono meglio la cornice storica, molti aspetti della problematica artistica di quegli anni, l'approccio stesso alla concezione che l'età classica aveva del ruolo sociale e della funzione dell'artista. Il libro offre quindi una messa a punto importante che, pur senza rivoluzionare il quadro di riferimento già noto, chiarisce però molte cose. Chiarisce che molte idee che abbiamo su Fidia si sono formate nel corso del tempo, ma non hanno niente a che fare con il V secolo a.C.: sono semmai il frutto della riflessione che epoche diverse, anche molto più tarde, hanno elaborato sulla sua figura. E chiarisce soprattutto, con una presa d'atto della realtà e dei limiti dell'indagine sul passato, che molti misteri relativi all'esistenza e all'opera di Fidia non possono né probabilmente mai potranno essere dissipati. Non del tutto, per lo meno. Lasciare che il dubbio aleggi su tanti risvolti della figura del più famoso scultore dell'antichità non è un cedimento a una concezione dell'archeologia come enigma e seducente mistero, concezione che pure ha tanto successo nei mass media: è, al contrario, un saggio bagno di realismo. E di umiltà.     Anna Ferrari

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