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1996
21 marzo 1996
128 p.
9788836803743

Voce della critica


recensione di Concilio, C., L'Indice 1997, n. 1

Cinque racconti, cinque storie di donne, rappresentativi della narrativa ebraico-americana contemporanea, per far conoscere voci nuove o a noi poco note, fotografando una modalità di scrittura non necessariamente sperimentale, attenta alle tematiche sociali e umanitarie, e soggetta a una progressiva laicizzazione, come sottolinea Mario Materassi nella prefazione, in un'America che è Terra Promessa. Solo osservando i volti in fotografia nel Museo dell'Immigrazione di Ellis Island, a New York, dirimpetto alla grande Statua, si comprende che il viaggio verso il sogno americano è un viaggio verso la libertà, e non verso la sua retorica, come dimostra il primo racconto di Roberta Kalechofsky, Figlie di Dio. Mirele e Hinda sono due bambine sopravvissute ai pogrom; destinate a una vita troppo stretta in seno a una comunità tradizionale, crescono sperando che il fratello mandi loro i soldi per raggiungerlo in America.
Anche "La perdita di memoria è solo temporanea", di Johanna Kaplanha, ha per protagonista una ragazza orfana, e mentre il racconto scivola sul dialogo tra sordi fra l'anziana zia e la giovane nipote, indipendente e affermata medico psichiatra, una battuta sul fatto che per un ebreo europeo essere orfani è quasi naturale riporta alla luce una Storia rimossa: "In Europa ci si aspetta che queste cose succedano. È per questo che non siamo là". Norma Rosen, in "Che cosa devo dirle?", affronta invece esplicitamente il problema dell'ebraismo in America: il dilemma dell'assimilazione avvicina due donne, un'ebrea "occidentale", che guarda con sospetto l'osservanza del marito, e la sua governante giamaicana, in cerca di una chiesa da opporre all'ateismo del proprio marito. Lynne Sharon Schwartz, in "Oltre la china", illumina con ironia i tentativi di un'adolescente di controllare l'esuberanza della madre divorziata; mentre Sondra Shulman racconta di un matrimonio tra un ebreo e una gentile, figlia di un pastore metodista, in "Che cos'è Amherst?". L'incontro tra chiese diverse, la difficile scelta tra assimilazione e tradizione, fra occidente e oriente, il confronto tra le minoranze dei neri e degli ebrei di New York sono alcuni dei temi che legano i racconti, ma il vero filo rosso è rappresentato dalla libertà, perseguita attraverso l'emancipazione dai vincoli familiari e, forse, anche dalla Storia. A proposito, ci si prende qui la libertà, pur nella consapevolezza di tradire la specificità della letteratura ebraico-americana, di innestare un'appendice sudafricana alla rosa di scrittrici presentate, per ricordare due autrici la cui segnalazione è sfuggita in passato: Barbara Trapido, vissuta a Durban, nel Natal, ma nata a Città del Capo da una famiglia di ebrei in fuga dalla Germania, poi emigrata in Inghilterra nel 1963, di cui si ricorda il romanzo "In bilico" (Donzelli, 1995), e Rose Zwi, nata in Messico, cresciuta a Johannesburg e trasferitasi in Australia nel 1988, appartenente a una famiglia di ebrei ashkenaziti emigrati dalla Lituania, autrice del romanzo "Un altro anno in Africa" (Edizioni Lavoro, 1995), il cui ritratto più interessante è quella di una bambina, Ruth, che nei suoi giochi solitari riproduce il terrore dei pogrom, mai vissuti se non attraverso racconti degli adulti, che le impediscono di "vivere nel presente", finché il presente non diviene la realtà dello sterminio nazista.

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