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Premi
2016 - Oscar [Academy Awards] - Miglior film straniero
Un incubo a occhi aperti in cui un padre ha perso la battaglia con la vita ma vuole vincere quella con la morte
Trama
Ottobre 1944. Saul Ausländer è un ebreo ungherese deportato ad Auschwitz-Birkenau. Reclutato come sonderkommando, Saul è costretto ad assistere allo sterminio della sua gente che 'accompagna' nell'ultimo viaggio. Isolati dal resto del campo i sonderkommando sono assoldati per rimuovere i corpi dalle camere a gas e poi cremarli. Testimoni dell'orrore e decisi a sopravvivervi, il gruppo si prepara alla rivolta prima che una nuova lista di sonderkommando venga stilata condannandoli a morte. Perduto ai suoi pensieri e ai compagni che lo circondano, Saul riconosce nel cadavere di un ragazzino suo figlio. La sua missione adesso è quella di dare una degna sepoltura al suo ragazzo. Alla ricerca della pace e di un rabbino che reciti il Kaddish, Saul farà la sua rivoluzione.
Come succede con ogni film sull’Olocausto, Il Figlio di Saul verrà criticato per il fatto che il cinema è un media troppo leggero per raccontare un male così profondo. Ma non c’è niente di legger in questo capolavoro ungherese del regista esordiente László Nemes. Non solo è una testimonianza degli orrori, te li fa sentire nelle ossa.
Nemes tiene la sua camera fissa su Saul Auslander (Géza Röhrig), un prigioniero ebreo ad Auschwitz. Saul riesce a scampare temporaneamente ai forni lavorando per la Sonderkommando, una sezione di ebrei obbligati ad aiutare a uccidere altri ebrei e dell’eliminazione dei corpi. Vediamo solo quello che vede Saul, gli atti più atroci sono sfocati in secondo piano, ma è tutto ancora più terrificante per questo.
La tensione cresce quando Saul trova il corpo di un ragazzo che è sopravvissuto ai gas. Quando il ragazzo muore, Saul prova a fare l’impossibile per dargli una sepoltura ebraica. Il ragazzo è il figlio di Saul? O è simbolo di una perdita più grande?
Tutto quello che vi serve sapere è negli occhi spettrali di Röhrig, la cui performance cruda e affascinante è superlativa. Nemes affronta di petto un argomento di enorme complessità.
Il risultato è, semplicemente, un grande film.
Recensione di Peter Travers
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