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Né critico, né letterato. Sono un semplice lettore. Un libro mi piace o non mi piace.. Come un buon bicchiere. Quante schifezze sotto etichette glorificate? Il genere dichiarato non mi attirava molto. Ho però conosciuto il D'Anna con il suo Saint-Ex (fantastico e realistico insieme) e, con il primo "Una stagione di fede assoluta (non inganni l'atmosfera sportiva: l'ho tenuto a lungo come ? breviario!). In questa "figura" mi sarei accontentato di ritrovare qualche frammento di ciò ho ricevuto da quei due. Altro che frammenti! Perle di delicata potenza poetica, sparse qua e là, con generosità e pudore.. Venti/trenta righe, non di più, di poesia in prosa (non so dire meglio!), ognuna delle quali vale l' intero volume! La demenza, la contiguità coi nostri cari scomparsi, le atmosfere?.. Non da ultimo, per lettori come me, le note in coda ai capitoli. Ti offrono indicazioni per soddisfare la tua curiosità e renderti un po' più compartecipe, senza appesantire il testo che scorre via veloce in un italiano limpido e corretto. Anche per questo lo rileggerò Insomma: mi è piaciuto. Tanto. Grazie, D'Anna! E pensare che sembra quasi chiedere scusa per averlo scritto!
Riccardo D'Anna, saggista e critico, che s'è già cimentato nella scrittura colta ed intimista (Una stagione di fede assoluta) compie con quest'opera il salto alla narrativa di genere, ma a modo suo. Nel riallacciarsi con il romanzo di Simon Raven, ripartendo dal punto in cui si era conclusa la storia narrata in "Il morso sul collo" e presentando gli stessi personaggi, ad eccezione di quelli morti nelle vicende precedenti, offre ai lettori appassionati del genere (ma non solo) un romanzo che è assieme horror (decadente e, a tratti, estetizzante) e saggio storico e di costume. Le vicende si dipanano tra Londra, Venezia e Berlino alla fine degli anni Sessanta, ancora in pieno dopoguerra e pre-Muro di Berlino, consentendo di gettare uno sguardo sul decadentismo dannunziano e sugli epigoni di società segrete ed esoteriche che erano state in pieno vigore tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo (Aleister Crowley, la Golden Dawn). I personaggi fiction s'incontrano, nel corso della loro indagine, attraverso il racconto fatto da altri o vis à vis, con personaggi realmente vissuti: in primis, Gabriele D'Annunzio e la marchesa Lucrezia Ateleta di Montevago, musa ispiratrice dello stesso D'Annunzio, ma interagiscono anche con Peggy Guggenheim nella sua splendida dimora veneziana, sulle tracce della "figura di cera" dotata di poteri straordinari e forse responsabile di alcuni inspiegabili suicidi londinesi. Nel romanzo si trovano il fascino e le brume della narrativa gotica, ma anche lo stile dello scrittore che conosce a menadito il periodo storico in cui colloca la sua storia e le sue radici culturali. Vi è anche una rappresentazione della forza del cameratismo tra uomini: i personaggi femminili non son coinvolti nell'indagine avventurosa, ma utilizzati solo come testimoni o, eventualmente, come incarnazione del potere e del rischio della seduzione, come anche nel rapporto duale che ripropone le dinamiche della coppia investigativa alla Conan Doyle.
Recensioni
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Cultore di letture dannunziane, l'autore regala in questo breve romanzo, solo approssimativamente riconducibile alla cifra dell'orrifico, qualcosa a mezzo tra il gioco divertito e la confessione (profonda, a tratti struggente) di tutto un mondo interiore. A un primo livello, La figura di cera rappresenta un omaggio a un'elegantissima fantasia nera di cui D'Anna si era trovato a curare la revisione linguistica, Il morso sul collo di Simon Raven, edito nel 2009 dalla stessa Gargoyle (cfr. "L'indice", 2010, n. 9): ne vediamo tornare vari personaggi, e riproporre l'incedere un po' obliquo che privilegia l'atmosfera sull'evento a effetto. Ma in questo seguito alla vicenda ci troviamo in pieno pastiche, l'introduttore Priarone parla di burlesque letterario postmoderno: e in effetti vi incontriamo, in modo diretto o più spesso indiretto, una serie di personaggi e ambienti da plaghe diverse dell'orizzonte letterario e artistico. Da Peggy Guggenheim allo stesso D'Annunzio evocato in memoria, da romanzieri e commediografi della fine anni cinquanta (la storia si svolge nel '58) alla defunta, ma non troppo, marchesa Lucrezia d'Ateleta di Montevago in cui si cifra trasparentemente una storica amante del Vate. D'altra parte, il sapore della vicenda è piuttosto diverso da quello del cinico, equivoco modello: il narratore (in ipotesi il medesimo) acquista qui uno spessore umano, una malinconia e una limpidezza assenti nel prototipo, e la lega di uomini che combatte la marchesa reviviscente non ha i connotati ambigui del gruppo descritto da Raven. Ciò che emerge con l'obolo sentimentale nei confronti di tutto un orizzonte di genere, letterario e cinematografico, è però soprattutto una riflessione sul passato, compresi i vuoti dolenti che ce ne restano: e sembra emblematico il riferimento, virato sul pensiero al padre scomparso, alla celebre foto della biblioteca di Holland Park sventrata dal bombardamento.
Franco Pezzini
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