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Carlo Levi è certamente il confinato politico più conosciuto del periodo fascista. Ma Levi fu uno dei tanti. A volte, di costoro non ci sono tracce; a volte compaiono inaspettatamente. E'successo con Filippo Calabrese la cui documentazione è stata rinvenuta negli archivi storici dei Comuni di Calvello e Avigliano. La carta di permanenza al confino attesta che egli nacque a Palermo il 7 luglio 1900. Era, quindi, quasi coetaneo di Carlo Levi, nato nel 1902. Entrambi erano medici. Ma uno veniva del nord, l'altro dal sud: Levi da Torino, Calabrese da Palermo, come a rappresentare una Italia antifascista che interessava tutto il territorio nazionale. Entrambi furono assegnati al confino in Lucania. Levi fu confinato a Grassano il cui territorio si presenta, secco, brullo, pieno di calanchi. Calabrese, invece, trascorse il confino lucano a Calvello ed Avigliano, nel cuore dell'Appennino Lucano, le cui montagne sono fittamente coperte da rigogliosa e folta vegetazione. Levi, perciò, ci restituiva l'immagine di una Lucania arida, lunare, tale da diventare quasi lo stereotipo con il quale la nostra terra viene ancora oggi identificata e conosciuta nel mondo. Il paesaggio descritto da Calabrese, al contrario, ricorda all'autore i paesaggi ricchi di verde e di acque. Calabrese, medico e giornalista, è uomo che ha fatto studi classici. Conosce il latino, la letteratura italiana, la filosofia, la musica. E' uomo di mondo che ha viaggiato in molti paesi, utilizzando treni e aerei.Nel 1932, invitato dall'Ambasciata Italiana, a Bruxelles svolse, in puro stile fascista, una conferenza di commemorazione e celebrazione della Prima Guerra Mondiale. Era, dunque, uomo in vista e gradito al regime. Improvvisamente, però, con ordinanza del 3 gennaio 1935, lo si trova nella colonia penale delle isole Tremiti, donde viene trasferito a Calvello e ad Avigliano. Dopo un silenzio di circa ottant'anni compare, offrendoci 7 dattiloscritti inediti pubblicati integralmente nel volume.
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