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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
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Torna in libreria, in una nuova edizione curata da Angelo Pellegrino, il secondo romanzo di Goliarda Sapienza, rivelatasi due anni prima con Lettera aperta.
Pubblicato per la prima volta nel 1969, Il filo di mezzogiorno precorre con straordinaria attitudine al futuro alcuni tratti dell’autofiction e del memoir, raccontando l’esperienza psicoanalitica vissuta dall’autrice dell’Arte della gioia dopo il periodo di depressione, sfociato in un tentativo di suicidio. Attraverso le parole che la protagonista rivolge al suo medico – con cui instaurerà un rapporto intimo e appassionato –, ricostruiamo tutto il suo percorso: la partenza da casa, le pensioni di terza categoria, i corsi d’arte drammatica, la persecuzione fascista, la “follia” della madre, la difficoltà nei rapporti con l’altro sesso, l’amore devastante per Citto (“non facemmo la sciocchezza di sposarci ma il giuramento di restare insieme fino a quando l’amore ci avrebbe tenuti uniti”). Emerge da queste pagine una consapevolezza che è al tempo stesso personale e universale, una riflessione acuta e sensibile sulla condizione femminile, priva di ogni pregiudizio morale: la scoperta delle fragilità e delle paure, dell’amore, della vita.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il libro più complesso di Goliarda Sapienza, però capace di consegnare al lettore una realtà molto difficile, una situazione specifica di qualcuno che affronta un traguardo psicologico molto difficile. Questo grande dialogo interno di Sapienza la rende una magnifica narratrice. Poetico, intenso, dolce ed amaro allo stesso tempo.
Recensioni
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Da Campana a Morselli, da Savinio e Landolfi a D’Arrigo e Tomasi, ad Arpino e Bianciardi, da Penna a Bontempelli, a Delfini. Tra gli irregolari del ‘900 – outsider per ragioni caratteriali o stilistiche o mentali o ideologiche – non si può non ricordare Goliarda Sapienza che, dopo tante discese e risalite, è assurta al rango di classico dopo una lunga “militanza” fra inclassificabili, eclettici ed eccentrici. Un traguardo raggiunto con la riscoperta del suo L’arte della gioia (Einaudi) e puntellato dal rilancio delle altre sue opere. È il caso de Il filo di mezzogiorno (200 pagine, 15 euro), secondo libro dopo l’esordio di Lettera aperta che torna a vedere la luce grazie alla casa editrice La Nave di Teseo e alla curatela di Angelo Pellegrino, marito di Goliarda Sapienza, che in vita fu anche partigiana e poi attrice, soprattutto teatrale, fino ai primi anni Cinquanta.
La nuova edizione arriva a quarant’anni dalla prima, presso Garzanti: era il 1969 e quell’anno – come ricorda Pellegrino nell’introduzione – fu pubblicato negli Usa (sarebbe arrivato in Italia nel 1970) Lamento di Portnoy di Philip Roth, altro romanzo che faceva i conti con la psicanalisi e in cui il protagonista si raccontava a un terapeuta: romanzo comico-umoristico, quello di Roth sul «complesso rapporto con la madre e una comunità, quella ebraica, con le sue ossessioni non dissimili da quelle di un’educazione di sinistra marxista», come quella di Goliarda Sapienza.
Anticonformista e irriverente, quasi come la libertina Modesta del suo romanzo più famoso, un’autobiografia immaginata, la catanese Goliarda Sapienza è morta settantaduenne, nel 1996, ma era già stata ridotta al silenzio editoriale da quasi un decennio, riscoperta postuma in Francia e rilanciata definitivamente nel 2008 con la pubblicazione einaudiana de L’arte della gioia. Già in vita, però, aveva scritto libri irrinunciabili, come «Il filo del mezzogiorno», venato di autobiografismo, come molti dei suoi – che non si era piegata all’industria culturale, rifiutando richieste “commerciali” del commendator Rizzoli, un contratto per sei romanzi aventi «per tema la vita delle bambine siciliane, senza tralasciare l’aspetto sessuale» – quasi ignorato dalla critica.
Il romanzo si apre con l’ammissione della protagonista (alle prese con le vocali troppo aperte, da migliorare) alla Regia Accademia d’Arte Drammatica, grazie a una borsa di studio. Un misto di insonnia e depressione la trascina in un buco nero e, in un’occasione, la porta a ingerire troppi sonniferi, non un tentativo di suicidio, ma le conseguenze, a quell’epoca, sono inevitabili: un devastante elettrochoc, prima dei colloqui con uno psicanalista di grido, esponente di teorie che in Italia avevano fatto i conti con la “glaciazione” fascista, seguita da vivere un’ascesa irrefrenabile. L’analisi risulta essere poco ortodossa e comunque la paziente, Goliarda Sapienza conduce il lettore nelle pieghe più nascoste della psiche, «nel ghiaccio di questo mio passato», specie nella necessità di sentirsi accettata e nella paura dell’abbandono. Poi s’innamora di colui che dovrebbe salvarla, in un finale che sovverte ogni equilibrio e da cui la psicanalisi esce a pezzi. «Ogni individuo ha il suo segreto che porta chiuso in sé fin dalla nascita. […] non lo sezionate, non lo catalogate per vostra tranquillità. […] Ogni individuo ha il suo diritto al suo segreto ed alla sua morte».
Recensione di Salvatore Lo Iacono
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