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Descrizione


Tannenbaum nasce in Austria nel 1893, ma emigra giovanissimo negli Stati Uniti dove si dedica all'attività giornalistica e alla ricerca su temi di grande rilievo sociale, dalla condizione di vita dei penitenziari, alla situazione delle tribù primitive nelle regioni messicane. Questo volume è del 1951, ma immutata è la sua carica provocatoria, introdotta dall'affermazione iniziale: il sindacalismo è il movimento conservatore del nostro tempo. Questa affermazione paradossale costituisce il motivo conduttore di tutto il libro. L'incipit è solo un efficace paradosso, oppure l'inizio di una ricostruzione storica sul significato e sulle funzioni del movimento sindacale nell'età industriale, e sulle sue radici nel medioevo e nelle società antiche?
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Dettagli

1995
1 giugno 1995
148 p.
9788879106610

Voce della critica


recensione di Baglioni, G., L'Indice 1996, n. 5

Frank Tannenbaum (1893-1969) è uno studioso di origine europea che emigrò negli Stati Uniti all'inizio del secolo e che impiegò parte della sua acuta intelligenza nella ricostruzione e nell'interpretazione dell'esperienza sindacale. Egli, con indubbi aspetti di originalità, appartiene a una robusta tradizione di pensiero nordamericana (J.R. Commons, S. Perlman, R.F. Hoxie e altri) che esamina tale esperienza nei suoi motivi e obiettivi spontanei e pragmatici, contrapponendosi esplicitamente alla tendenza prevalente della cultura ideologica europea (soprattutto di ispirazione marxista) che pretendeva di stabilire come doveva essere e cosa doveva fare il lavoro organizzato.
Il libro che presentiamo è stato pubblicato nel 1951. È un libro di grande interesse, audace, ricco di spunti teorici e descrittivi, con il limite di fare riferimenti quasi esclusivi agli Stati Uniti. A quarantacinque anni dalla sua uscita conserva immutato il suo fascino - come dimostra Cella nella sua perspicace introduzione - anche se contiene posizioni e giudizi oggi difficilmente sostenibili.
Dopo gli anni sessanta il volume è stato quasi completamente dimenticato anche dalla letteratura che si occupa di temi sindacali e di relazioni industriali. La nuova edizione appare quanto mai opportuna se non altro per queste due ragioni: perché l'autore ci ha lasciato una teoria dell'azione sociale alternativa agli schemi individualistici e utilitaristici (e, nel contempo, appassionatamente critica nei confronti delle soluzioni storiche che affidano vasti compiti di controllo dell'economia e della vita sociale allo Stato); perché egli, pur esaltando le funzioni di equità e di intrinseca moralità dovute alle pratiche sindacali, affronta l'attore e l'azione sindacali senza forzature di idealizzazione, mettendo anzi in rilievo le loro manchevolezze, le loro miserie, le eccessive rigidità (per altro, in buona misura, interpretabili come necessaria risposta ai caratteri degli assetti produttivi).
Il libro di Tannenbaum può essere, più di altri, sottoposto a differenti letture. In questa sede, penso che sia consigliabile presentarlo attraverso tre fondamentali aspetti: il significato complessivo dell'esperienza sindacale nella società industriale; la sua incidenza effettiva specie sul rapporto di lavoro tipico di tale società; le sue prospettive strategiche nel lungo periodo.
Il primo aspetto è il più noto e appariscente. Esso emerge fin dall'inizio attraverso la tesi paradossale - ma è veramente paradossale? come suggerisce Cella - del sindacalismo come movimento conservatore del nostro tempo; come movimento controrivoluzionario rispetto a gran parte delle idee politiche ed economiche occidentali (rivoluzione francese, liberalismo inglese, marxismo) degli ultimi due secoli.
Il sindacalismo è tale perché si configura come una ribellione spontanea all'eccesso di frazionamento e di sradicamento sociali operato dalla società industriale e manifesta la tendenza degli uomini che lavorano a tornare a un sistema di vita più antico e socialmente "normale". Esso, infatti, restituisce al lavoratore la sua "società", gli offre solidarietà, lo fa partecipe di un sistema di valori comune agli altri, costituisce l'unica vera società che l'industrialismo abbia generato, una società dotata della base etica necessaria per sopravvivere.
Ciò avviene - secondo aspetto - perché i sindacati, affrontando problemi ritenuti minori (orari lavorativi, salari, condizioni e sicurezza del lavoro) e utilizzando lo strumento del contratto collettivo, si configurano di fatto come "enti legislativi privati", le cui norme influiscono sul funzionamento delle imprese e sulla vita di milioni di esseri umani, ai quali assicurano una tutela collettiva di status contro i rischi e i costi dei contratti individuali di lavoro.
Quando e dove i sindacati diventano forti e riconosciuti - terzo aspetto - devono responsabilmente assumere funzioni istituzionali; porsi cioè la questione della compatibilità tra la loro azione e l'aumento della produzione, il progresso delle tecniche produttive e il contenimento delle tendenze inflazionistiche. Le soluzioni di equilibrio tra potere e responsabilità riguardano in prospettiva la "partecipazione alla direzione" (senza danno per l'efficienza e la produttività) e la costruzione della "sicurezza sociale" (previdenze per malattia, collocamento a riposo e vecchiaia) a livello dell'impresa, con il contributo effettivo dei lavoratori e con il loro accesso alla proprietà.
È quasi superfluo sottolineare che, per questo aspetto, Tannenbaum è un sorprendente antesignano e risulta di piena attualità.

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