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Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud - Jacques Bouveresse - copertina
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Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud
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Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud - Jacques Bouveresse - copertina

Descrizione


Wittgenstein è stato un ammiratore di Freud, ma questo non deve sorprendere, se si pensa che Freud possedeva più di ogni altro una qualità che Wittgenstein riteneva fondamentale in filosofia, la capacità di proporre analogie nuove e illuminanti per la comprensione di fatti che sono nello stesso tempo familiari ed enigmatici. Il lavoro di Freud, per lui, consiste anzitutto nel proporre eccellenti analogie, come per esempio quella tra un sogno e un rebus. Egli ci fornisce una "rappresentazione di fatti" a cui nessuno aveva pensato prima di lui. Freud ha torto nell'esprimersi "come se avesse scoperto che nella mente umana vi sono desideri e atti inconsci"; il che è del tutto errato, secondo Wittgenstein.
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Dettagli

1997
1 gennaio 1997
198 p.
9788806129194

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Thaumazo
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Ottimo libro, che fa riflettere a lungo sulla scientificità del concetto di "inconscio".

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Voce della critica


recensione di Dei, F., L'Indice 1998, n. 1

"Fui molto colpito quando lessi Freud per la prima volta. È straordinario. Naturalmente il suo modo di pensare è spesso ambiguo, ma il suo fascino e il fascino dell'argomentazione son tanto grandi che è facile lasciarsene ingannare. Parla di continuo dei saldi pregiudizi che operano contro l'idea della psicoanalisi. Ma non dice mai quale enorme fascino tale idea ha per il pubblico, e per lui, Freud stesso. Potranno esservi saldi pregiudizi contro la scoperta di qualcosa di disgustoso, ma talora essa è infinitamente più allettante di quanto sia repellente". Così scriveva Wittgenstein, nel 1945, in una lettera all'amico e allievo Norman Malcolm. Questo giudizio sintetizza assai bene l'atteggiamento complesso e ambivalente del filosofo austriaco verso il suo concittadino creatore della psicoanalisi. Da un lato, Wittgenstein era tanto attratto da Freud da giungere a definirsi suo "discepolo" o "seguace"; lo riteneva "uno che aveva qualcosa da dire", un autore che valeva sempre la pena di leggere. Vedeva forse nella psicoanalisi qualche analogia (ma anche importanti differenze) con la propria stessa concezione della filosofia come "terapia", volta agli obiettivi dell'autocomprensione e della trasparenza semantica.
Dall'altro lato, tuttavia, i numerosi riferimenti a Freud che si trovano nei suoi scritti e nelle sue lezioni sono invariabilmente e duramente critici. Per meglio dire, Wittgenstein usa l'opera freudiana come una specie di serbatoio di errori filosofici, di esempi di un modo di pensare che ritiene sbagliato, pericoloso e dannoso. Questi errori dipendono in gran parte dall'epistemologia naturalistica che Freud sovrappone alle sue ingegnose interpretazioni dei fatti psichici. Nell'analisi dei sogni, ad esempio, Wittgenstein valorizza l'aspetto creativo del lavoro freudiano, che gli appare una "meravigliosa rappresentazione", fatta di "eccellenti similitudini". È però irritato dal linguaggio generalizzante e causale che Freud impiega, dal suo tentativo di ridurre a un' "essenza" (l'espressione del desiderio) la grande varietà di significati che i sogni possono avere per gli esseri umani; né può accettare la pretesa di giustificare le sue interpretazioni come verità oggettive e scientificamente comprovate. Per Wittgenstein, le "meravigliose rappresentazioni" di Freud stanno sul piano dell'estetica o della mitologia, più che su quello della scienza. Non sono in nessun senso "scoperte", o ipotesi che potrebbero esser verificate. Se siamo portati ad accettarle, non è perché si impongono con la forza dell'evidenza empirica - travolgendo così, come sosteneva Freud, i nostri pregiudizi sfavorevoli -: al contrario, è perché (come le opere d'arte) ci attraggono irresistibilmente, proponendoci connessioni di senso che sono in qualche modo già presenti dentro di noi.
Il rapporto con Freud è argomento prediletto di allievi ed esegeti di Wittgenstein, e la saggistica in proposito è piuttosto ampia, anche se un po' dispersiva. Il libro di Jacques Bouveresse che compare adesso in traduzione italiana ha il merito di affrontare il tema in modo sistematico e assai rigoroso, proponendosi come utilissimo strumento critico. La discussione è organizzata attorno alle principali difficoltà filosofiche che Wittgenstein imputa alla psicoanalisi: la personificazione dell'inconscio, le difficoltà di verifica empirica, il determinismo, la confusione tra ragioni e cause degli atti psichici, e così via. Bouveresse parte dall'analisi delle osservazioni di Wittgenstein (tratte, in gran parte, dai resoconti di lezioni e conversazioni del periodo di Cambridge), le "verifica" alla luce dei testi freudiani, le raffronta e le distingue dagli argomenti di critici della psicoanalisi provenienti da altre tradizioni filosofiche, quali Popper, Grünbaum, Ricoeur e Habermas.
L'atteggiamento verso Freud non è affatto liquidatorio. Bouveresse cerca anzi di rivalutarne la raffinatezza epistemologica, pur ponendosi nettamente dal punto di vista wittgensteiniano. In definitiva, egli rileva tra i due pensatori un'"autentica incompatibilità di umore o di temperamento filosofico": tanto speculativo e generalizzante è Freud, quanto Wittgenstein (l'"ultimo" Wittgenstein, naturalmente) è attento all'irriducibile varietà della vita umana e ai rischi dei postulati teorici (in particolare, delle teorie che postulano entità intermedie tra il linguaggio e il mondo). Tanto Freud è teso a "scoprire" qualcosa che sta nel "profondo" dell'animo, quanto Wittgenstein insiste sul fatto che in filosofia non v'è nulla di nascosto - come scrive Bouveresse, "che tutto dall'inizio è immediatamente accessibile alla superficie e che noi sappiamo già in qualche modo tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere".
Chi già conosce i precedenti lavori di Bouveresse - probabilmente il maggior studioso di Wittgenstein in Francia - non troverà forse qui novità rilevanti. Mi sembra che l'autore abbia inteso questo libro soprattutto come un intervento provocatorio nel quadro del dibattito filosofico del suo paese. In particolare, egli polemizza con chi ha ritenuto (e non solo in Francia) che "fosse la filosofia ad aver bisogno della 'scienza' psicoanalitica, più che la psicoanalisi ad aver bisogno di un lavoro di chiarificazione filosofica". Il riferimento è naturalmente, in primo luogo, alle scuole lacaniane; né manca un diretto attacco allo stesso Lacan e alla sua concezione linguistica dell'inconscio, che per Bouveresse non risolve affatto le difficoltà epistemologiche del freudismo ortodosso, pur depurandolo dal suo più greve lessico meccanicistico. Wittgenstein e Lacan, egli osserva, sviluppano le idee di Freud in direzioni diametralmente opposte, nonostante entrambi affermino la centralità del linguaggio. Di fatto, l'attività "linguistica" che Lacan attribuisce all'inconscio non è compatibile con il "linguaggio" in senso wittgensteiniano, che è caratterizzato dalla pratica del "seguire le regole" e dalla possibilità di distinguere tra corretta e scorretta applicazione di una regola.

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Conosci l'autore

Jacques Bouveresse

1940, Épenoy

Jacques Bouveresse (Épenoy 1940) è un filosofo francese. Insegna Filosofia del linguaggio al Collège de France. Grande conoscitore di Wittgenstein al quale ha dedicato sei libri e innumerevoli articoli, ha pubblicato in Italia Wittgenstein: scienza etica estetica (Laterza, Roma-Bari 1982), Wittgenstein antropologo, postfazione a Note sul «Ramo d’oro» di Frazer di Ludwig Wittgenstein (Adelphi, Milano 1975), Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud (Laterza 1997) e Il mito moderno del progresso. Filosoficamente considerato a partire dalla critica di Karl Kraus, Robert Musil, George Orwell, Ludwig Wittgestein e Georg Henrik von Wright (Neri Pozza 2018).

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