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Forme originarie della paura - Marcel Beyer - copertina
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Forme originarie della paura

Descrizione


Quando Dresda bruciò, nel febbraio del 1945, dal cielo piovvero uccelli carbonizzati e nel parco della città si radunarono, atterriti, gli animali fuggiti dallo zoo. Hermann Funk, all'epoca un ragazzino, si trovava nel bel mezzo di quell'inferno. Non lo scorderà per tutta la vita: nei bombardamenti perse entrambi i genitori. E la visione degli animali bruciati lo spingerà a dedicarsi all'ornitologia, studiando e successivamente lavorando sotto la guida dell'eccentrico e per molti versi ambiguo Ludwig Kaltenburg, un amico di famiglia e il più famoso zoologo ed etologo del XX secolo. Il professore lo vuole con sé quando, nel secondo dopoguerra, accetta l'offerta di creare, appena fuori Dresda, un Istituto di ricerca destinato a consolidare la sua fama ma soprattutto a dare lustro alla Repubblica democratica tedesca. Il giovane lo vedrà muoversi con apparente disinvoltura fra i complessi meccanismi dello stato e le sottigliezze ideologiche del partito, attraversare i drammatici mutamenti degli anni Cinquanta e infine, dopo la costruzione del Muro, lasciare per sempre la Rdt. Ma soprattutto è al suo fianco quando Kaltenburg decide di dedicarsi, nel saggio "Forme originarie della paura", a un raffronto fra i comportamenti di panico negli animali e negli essere umani. La paura appare cosi come il sentimento dominante di tutto il XX secolo e pervade, nelle sue declinazioni individuali, politiche, sociali, ogni pagina del romanzo di Marcel Beyer.
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Dettagli

2011
13 maggio 2011
393 p., Rilegato
9788806197360

Voce della critica

Marcel Beyer, poeta, saggista e narratore classe 1965, è presente sul mercato italiano con Pipistrelli (1995; Einaudi 1997), forse il più interessante romanzo in lingua tedesca sulla rielaborazione del passato nazista di un autore della cosiddetta "terza generazione", quella nata cioè vent'anni dopo la fine della guerra. Nell'accuratissima traduzione di Silvia Bortoli è uscito il suo ultimo romanzo, Forme originarie della paura, che assieme a Pipistrelli e al non ancora tradotto Spione ("Spie") costituisce una sorta di trilogia sulla storia tedesca del Novecento, di cui vengono messi in evidenza momenti apicali e passaggi generazionali. Dopo la Berlino apocalittica del 1945 di Pipistrelli e la provincia tedesco-occidentale anni settanta di Spione, tempo e luogo del racconto sono questa volta la Dresda post '89 dell'ornitologo in pensione Hermann Funk, che ripercorre la biografia intellettuale del suo maestro e mentore, il celebre zoologo ed etologo Ludwig Kaltenburg (che nell'originale dà il titolo al romanzo). La narrazione, come sempre in Beyer, si svolge secondo un'architettura complessa; la voce di Funk procede per salti temporali, passaggi e riferimenti impliciti a vicende e personaggi realmente esistiti, a partire dallo stesso protagonista, Kaltenburg, dietro cui si lascia cogliere forse con troppa facilità il rimando a Konrad Lorenz. Nell'incipit del romanzo lo studioso ci viene presentato quale canuto ottantenne sullo scorcio del fatidico '89 mentre sminuzza le pagine dei propri studi, appunti e lezioni affinché gli animali con cui vive, anatre, taccole, roditori, possano costruirsi caldi e comodi rifugi. Tra questi studi vi è il saggio Forme originarie della paura, il libro che negli anni cinquanta lo ha reso noto al grande pubblico e dove, analizzando il comportamento animale, Kaltenburg sostiene la tesi che la paura sia un dispositivo prodigioso, tramite il quale la natura garantisce la sopravvivenza della specie e del singolo individuo.
Ed è in effetti la paura a segnare le due immagini cardine del romanzo: lo choc vissuto da un bambino, che è poi lo stesso Hermann Funk, alla vista di un uccello intrappolato nel salotto di casa, e il terrore che invase Dresda nella notte del 13-14 febbraio 1945, quando i bombardamenti alleati rasero al suolo la città. In quella tragica notte in cui migliaia di civili morirono soffocati nei rifugi antiaerei o arsi dall'inferno delle bombe, ricorda Hermann Funk (il quale, allora bambino, perse i propri genitori) che dagli alberi in fiamme precipitavano come sassi i cadaveri degli uccelli carbonizzati; e all'alba del giorno seguente si videro mescolarsi agli umani che vagavano tra i morti gli scimpanzé fuggiti dallo zoo.
Nella memoria di Funk ha luogo così una sorta di crasi iconologica fra la tragedia individuale e collettiva e il mondo animale, in particolare ornitologico. Questo aspetto viene osservato, descritto, sezionato, classificato e archiviato con un'ossessione propria di una Trauerarbeit, di un lavoro di elaborazione del lutto. D'altra parte, l'intreccio fra storia, scienza e natura rappresenta una costante della scrittura di Beyer, particolarmente attenta alla componente sensoriale (ottica, auditiva, tattile, olfattiva) che determina la nostra percezione non solo del presente, ma anche del passato.
E a questo proposito le vite parallele di Kaltenburg e Funk consentono di riattraversare non solo gli anni del nazismo e della seconda guerra mondiale, ma soprattutto la vita quotidiana nella Rdt così come vissuta dalla piccola comunità scientifica dell'istituto ornitologico di cui Kaltenburg è instancabile animatore. Nella "valle degli ignari", das Tal der Ahnungslosen, come veniva detta la zona attorno a Dresda per il fatto che non si captavano le onde radio occidentali, assieme agli uccelli migratori arrivano gli echi remoti del processo Slansky a Praga del '52 e dei processi di Mosca del '53; e ancora, la morte di Stalin e la costruzione del Muro di Berlino, che avviene pochi mesi dopo la misteriosa decimazione delle amatissime taccole di Kaltenburg, il quale lascia l'istituto e si trasferisce all'Ovest. Un panorama, insomma, di forme della paura, intesa stavolta, come dice Kaltenburg, quale "quella che si incute agli altri".
Alcuni critici hanno visto nel romanzo il tentativo di spiegare il funzionamento dei sistemi dittatoriali secondo le categorie comportamentali dell'etologia. Accanto a questa possibile chiave di lettura, tuttavia, si può cogliere anche un rinnovato suggerimento a interrogarsi sulle responsabilità di una scienza disposta a compromessi e connivenze con il potere; questione in fondo già al centro, forse con maggiore coerenza narrativa, del ricordato Pipistrelli. Beyer si conferma comunque una delle voci più interessanti della letteratura tedesca contemporanea, scrittore raffinato, attentissimo nell'auscultare il presente e captarne gli echi e le dissonanze che giungono dal passato. In un saggio del volume Nonfiction (2003) scriveva del resto: "Considero 'storico' ciò che comprendo come qualcosa di contemporaneo, e viceversa: il presente è per me ciò che posso riconoscere storicamente".
Monica Lumachi    

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