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Anno edizione: 1991
Anno edizione: 2014
Il freddo racconta il periodo passato da Thomas Bernhard, fra i diciotto e i diciannove anni, nel sanatorio pubblico di Grafenhof. Ed è la storia di un’altra lotta durissima per la sopravvivenza, dove la malattia che assale il giovane Bernhard è al tempo stesso una malattia terribilmente fisica – legata a una specifica persecutorietà ambientale e sociale – e una malattia dell’anima, come già indica l’epigrafe di Novalis, che è la chiave del libro: «Ogni malattia può essere definita malattia dell’anima». In questa vicenda di un «inabissarsi» in una «comunità della morte», per poi riemergerne quando tutto sembra perduto, arricchito dalla scoperta che «la via dell’assurdo è la sola praticabile», e quasi salvato dalla musica (a cui allora contava di dedicarsi), Bernhard ci offre il penultimo, possente pannello della sua autobiografia, impresa solitaria e altissima della letteratura del nostro tempo.
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Bernhard qui parla del suo periodo di ricovero in un sanatorio, descrivendo l'ambiente nella sua freddezza e assurdità. Assurdo per i rituali, per chi vi si trova ricoverato e le cure prescritte. L'assurdità e l'insensatezza diventano le sole chiavi di lettura e forze per poter uscire da un baratro, per evitare la morte, insieme alla musica, che B. amava tanto. Ogni elemento grottesco e paradossale viene portato alla luce sottoposto ad analisi. Persino l'atto di sputare con Bernhard diventa alta letteratura. Tutto scritto in modo essenziale, diretto e con grande lucidità di pensiero.
Mi piange il cuore a dover bollare così il nostro autore, che pure, non dico amammo, ma comunque ci interessò, e anche parecchio, ma non si può massacrare il morale del povero lettore in questo modo. Se siete tentati dal suicidio questo libro vi darà ulteriormente una mano.
Sempre fedele al suo stile che è unico, inimitabile, particolarissimo. Capace di un lucido realismo (non saprei come definirlo altrimenti) che incanta per il suo estremo disincanto. Da quando ho scoperto Thomas Bernhard ho imparato ad amare ciò che non si svela, tutto ciò di cupo, turpe, abietto, di solito si vuole negare spinti dalla retorica vuota dell'andrà tutto bene.
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