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In queste pagine Filippo Tuena ha convocato tutte le sue muse artistiche, letterarie e pittoriche, da Michelangelo a Velazquez, da Venere alle Sirene omeriche, da Bernini a Stendhal, per raccontare le loro storie e farci scoprire come le ha incontrate; e ha riavvolto i fili di tutti gli amori di una vita: quelli passionali, quelli drammatici e quelli consumati solo nella luce fioca della letteratura.
«Tuena fa abbracciare l'Arte e la Storia lungo una rotta imprevedibile e talvota ostica, ma sempre affascinante» - Sette
«Tuena svela come il rimpianto altro non è che "amare da lontano", ed ecco che il libro di lettere d'addio diventa un commovente libro di lettere d'amore» - Angelo Molica Franco, Il Venerdì
La letteratura è un grattacielo nel deserto, un atrio nobiliare abitato da fantasmi, una galleria d'arte con pareti d'alabastro, pellucide, lattescenti, dove file interminabili di quadri ci trafiggono la vista, riempiendo lo spazio di volti e scenografie sfuggenti. A frotte compaiono davanti ai nostri occhi, ci disorientano, ammiccano verso di noi, ti traggono in inganno. È in quel momento, quando incrociamo il loro sguardo, che la galleria si tramuta in una stanza degli specchi: ogni cornice, a ben vedere, raccoglie al suo interno un'immagine di noi, e allora seguiamo il nostro doppio, con la coda dell'occhio lo pediniamo mentre svolta in un caleidoscopio senza fondo. È questo lo scenario allestito da Filippo Tuena nelle "Galanti": una Wunderkammer sorprendente di storie, immagini, ricordi, incontri amorosi, le cui stanze hanno ornamenti Rococò, baldacchini ottocenteschi, ceramiche protocorinzie e lampadari Art Nouveau. Chi vi entra può scorgervi il passo agguerrito di Ulisse, gli occhi avvitati al passato di Van Gogh, i fianchi sensuali dell'Ermafrodito. Qui Roma brucia ancora una volta e crollano le alte mura di Troia, l'Italia è invasa dai nazisti e la Medusa di Géricault veleggia verso l'ignoto - mentre lì vicino, a pochi metri di distanza, si consumano feste galanti in cui coppie di giovani amanti si avvinghiano sul talamo del più sfrenato erotismo. Un'opera-mondo, "Le galanti", che ha il gusto della storia umana e il sapore dell'introspezione biografica.
Filippo Tuena, i sogni son desideri
di Gianfranco Franchi
Un rizoma incontenibile, ingovernabile, irrisolvibile; uno strabiliante e oscuro labirinto: un’opera chimerica, non addomesticabile. Un imbizzarrito taccuino, erudito e sebaldiano: un memoir elegiaco e malinconico; un trattato di estetica e di poetica, completo di bibliografia sommaria; un’opera di nitidissima autoreferenzialità, in più di un frangente, di quell’autoreferenzialità che devono concedersi solo i maestri. Tuena è l’artista padre di Ultimo parallelo, delle Variazioni Reinach, della Grande ombra: può rischiare. Il risultato è che Le galanti. Quasi un’autobiografia è, da un certo punto di vista, una sorta di Inland Empire: un’opera d’arte di un estremismo che può sconcertare, estranea a qualunque pretesa di linearità e accessibilità che non sia provvisoria e rapsodica; a differenza del prototipo lynchiano, qui in più di un frangente lo scrittore si ferma a definire il suo lavoro: «lettere forse indirizzate al tuo demone», più avanti «libro di lettere d’addio», poco oltre «libro di lettere d’amore»: poi «rizoma», poi «ibrido» (è un libro ermafrodito), poi, forzando paurosamente, «libro gemello» della raccolta di racconti Stranieri alla terra (Nutrimenti 2012), battezzato «splendida occasione fallita»: un puzzle (non a caso ci sono bellissime battute dedicate all’arte del puzzle) che nessuno potrà risolvere e nessuno potrà completare, perché forse stavolta è meglio così.
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