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Il gesto, il bello, il sublime. Arte e letteratura in Germania tra '700 e '800 - copertina
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Il gesto, il bello, il sublime. Arte e letteratura in Germania tra '700 e '800

Dettagli

1997
176 p., ill.
9788886291132

Voce della critica


recensione di Quadrelli, P., L'Indice 1998, n. 8

Il rapporto tra arti figurative e letteratura e il problema della trasposizione verbale del fenomeno artistico si pongono al centro della discussione estetica settecentesca e costituiscono il nucleo dei quattro saggi contenuti nel volume curato da Bonfatti - due dei quali pubblicati nell'originale versione tedesca. La differenza tra lo stile allusivo concesso alla pittura e la necessaria esplicitazione della prosa è studiata da Wolfram Mauser nel suo contributo sulla "spiegazione esauriente delle incisioni di Hogarth" (1784-1796) di J.Ch. Lichtenberg.La novità del testo di Lichtenberg, che costituisce uno dei primi esempi di moderna critica d'arte, consiste nell'attenzione antropologica e sociologica che, alla ricerca dell'"elemento specificamente inglese", non si limita alla descrizione delle incisioni ma cerca di cogliere il senso complessivo dei cicli di Hogarth, intesi come "romanzi in immagini".
In un dibattito estetico che coinvolge il recupero del mondo classico, la drammaturgia e le teorizzazioni sul sublime s'inscrive la discussione sulla statua del "Gladiatore borghese" (riscoperta ad Anzio nel 1611) e del "Galata morente" (riscoperta nel 1623 a Roma), di cui Bonfatti nel suo saggio affronta la vasta e complessa ricezione in area tedesca (Lessing, Winckelmann, Mendelssohn, A. Ph. Moritz, Goethe, Füssli) e francese (Riccoboni, Du Bos, Diderot).Considerata da Winckelmann come esempio di "bellezza naturale" e contrapposta alla "bellezza ideale" del "Laocoonte" e dell'"Apollo del Belvedere", il "Gladiatore borghese" fu oggetto di considerazioni filologiche e teatrali di Lessing, Riccoboni e Diderot, mentre il "Galata morente" ha un importante riscontro nelle "Reflexions critiques sur la poésie et la peinture" di Du Bos (1719).Du Bos riscatta la brutalità del soggetto delle statue dei gladiatori attribuendo ad esse la capacità di estetizzare la violenza: in tal modo il "Galata morente" s'inserisce, con altri protagonisti di scene del terrore (il condannato a morte, il funambolo, il naufrago, ecc.), nell'immaginario di scene atte a suscitare "orrore piacevole".Il saggio di Du Bos, tradotto parzialmente in tedesco da Lessing nel 1755, ebbe una vasta e variegata risonanza in Germania: da Nicolai a Mendelssohn a Lessing. Quest'ultimo critica l'interpretazione data da Du Bos e da Diderot, che in un recupero dello stoicismo romano invitano l'attore ad acquisire "lo stile culminante nella piena padronanza del proprio corpo" (Bonfatti) riscontrabile nel "Gladiatore morente". Lessing, che nel celebre passo sul "Laocoonte "preferisce l'urlo di Filottete a ogni stoico autocontrollo, intende criticare con ciò l'eroe protagonista del dramma romano e di quello francese suo erede. Un interessante aspetto della ricezione del "Gladiatore borghese" è anche rappresentato dalla statuaria dei giardini delle residenze settecentesche (Mirabell, Charlottenburg, ecc.) che presentano numerose riproduzioni della statua.
Il ""delighful horror"" è al centro anche dell'articolo di Carsten Zelle (in tedesco) che considera la diffusione, nell'arte tra Settecento e Ottocento, delle scene di naufragio e di battaglia con spettatore. Il piacere di chi osserva al sicuro una scena terribile è esemplificato dal celebre passo lucreziano del "suave mari magno", oggetto di contrastanti interpretazioni in epoca illuminista.
Chiude il volume un lungo saggio di Annarosa Azzone, che ripercorre la formazione artistica di Heinrich Lee, protagonista dell'"Enrico " "il verde" di Gottfried Keller (Einaudi, 1992), romanzo qui considerato nella sua prima versione (1854-55).Benché nel romanzo siano pochi i riferimenti al mondo artistico coevo, la formazione di Heinrich, sospesa tra soggettivismo romantico e realismo classico, attesta l'attento confronto di Keller con i problemi estetici del suo tempo. Il "Gladiatore borghese" compare anche nel romanzo di Keller: l'incontro di Heinrich con questa statua - qui esaltata, come già era stato in Winckelmann, per la sua esemplarità di "bellezza naturale" - determina l'abbandono, da parte del protagonista, della pittura e la sua conversione allo studio dell'anatomia.

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