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Il gioco dell’angelo è un polpettone dei nostri giorni, ispirato un po’ a Dickens, di cui nomina spesso il classico Grandi Speranze, e molto ai feuilleton ottocenteschi. C’è del diabolico, del borgesiano con citazioni di libri e labirinti di biblioteche e librerie, del macabro e della hard-boiled school, con violenze, sangue e morti ammazzati. Uno scrittore riceve oscuri incarichi da un diabolico personaggio che, in cambio di soldi che sembrano tantissimi ma si riveleranno un cattivo affare, gli chiede di vendere il suo talento, la sua identità, in breve la sua anima. Finali travolgenti e appesi in aria, gotico spagnolo, una Barcellona oscura e maledetta. L’ho letto in fretta per sapere come andava a finire, ma con un senso di fastidio per le trame eccessivamente complicate e l’eccesso anche di verbosità. Stilista eccellente, che dimostra di avere letto i classici, forse anche molto Flaubert, Zafòn ci mette capitoli interi a intrecciare digressioni in cui succede poco, digressioni che a suoi colleghi scrittori più essenziali costerebbero solo poche righe. Ne risulta un librone di centinaia di pagine, in cui come da manuali di sceneggiatura, arte che lo scrittore conosce bene, tutto succede alla fine. Archivio questo libro con un senso, ripeto, di fastidio, di ammirazione e disgusto per l’autore e quest’opera.
Il protagonista, David Martín, nella nella Barcellona degli anni venti, lavora come inserviente in un giornale locale e sogna di diventare uno scrittore. La biblioteca che lui visita è detta il Cimitero dei Libri. Grazie alla raccomandazione del conte Pedro Vidal, suo protettore, Martín riesce a pubblicare un racconto sul giornale e vede il successo arridergli. Sempre grazie a Vidal ottiene un contratto con un piccolo editore con cui inizia a pubblicare una serie intitolata La città dei maledetti con lo pseudonimo di Ignatius B. Samson. Per mantenere i ritmi di lavoro Martín inizia a dedicarsi solo alla scrittura chiuso all'interno della sua nuova cupa dimora, "la casa della torre", e trascurando la salute e i rapporti interpersonali. Le uniche persone con cui riesce ad avere un rapporto in questo periodo sono il vecchio libraio Sempere, il suo mentore Vidal e la giovane Cristina, di cui Martín è da sempre innamorato. Ci sono battute felici: la morte non vive nell’anonimato; un sudario di bruma sul calle S. Anna; la vecchiaia è la vaselina della crudeltà; la routine è la governante dell’ispirazione; una mente più sporca della gruccia di un pollaio; la poesia è fatta con le lacrime, i romanzi col sangue, la storia con bolle di sapone; due energumeni con la costituzione da pressa idraulica; la vita non dà seconde possibilità; crepuscolo in cui il sole screzia le strade d’ambra; quando si muore i nostri ricordi e dsidri non vanno perduti. Un protagonista, Manul Saguier muore. Alla casa della torre l’ispettore Vittor Grandes lo porta in quEstura. Con accusa di omicidio. Samper figlio e Isabella si sposano ma li muore di colera ma avrà una figlia, la bambina Cristina. Romanzo più che valido con una trama avvincente.
Arrivo dall'Ombra del vento, il livello non è lo stesso ma non siamo nemmeno troppo distanti. Cambia il protagonista ma ambientazioni e atmosfere sono le stesse. Consigliato!
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