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Anno edizione: 2014
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Una giornata nella mente di un futuro lavoratore di un sistema corrotto, tra crisi e risoluzioni mistiche. Lo spaccato di una società e di una personalità.
Non c'é niente da fare. I russi, nella narrativa, hanno sempre avuto una marcia in piú. Anche quando si parla di modernismo e soprattutto di postmodernismo. Ai prolissi, autoreferenziali e splendidamente superflui postmoderni americani (fatto salvo Pynchon che devo approfondire) preferisco i loro equivalenti russi (Erofeev, Sorokin, Pelevin). Sará che l'iperrealismo postmoderno non scade mai nell'ipernoia, ma soprattutto che, nella scrittura multilayered, gli strati si aggomitolano tra di loro ma rimangono sempre dipanabili. Prendete questo libercolo, scritto da Sorokin nel 2005. Immagina una Russia nel 2028 nella quale lo zarismo é stato restaurato e con esso l'ordine dell'Opricnina, che si rifá in tutto e per tutto all'ordine veramente esistito ai tempi di Ivan il Terribile (consiglio di informarsi a tal riguardo prima di leggere il libro). La situazione ci viene illustrata nelle 24 ore di un opricnik, un agente del temuto ordine nei suoi riti, nelle sue scorribande e nei suoi doveri e piaceri. Romanzo distopico? Certo. Satira tagliente della Russia odierna? Sicuramente. Scrittura visionaria? Anche (tanto che l'autore é stato ribattezzato "profeta in patria"). Ma soprattutto c'é sempre quel retrogusto di un'opera che non é mai fine a se stessa e che nonostante sia un guazzabuglio di storia, fantasia e satira, abbia una precisa collocazione rispetto alla realtá attuale.
L'autore disegna un affresco che è tragico e asettico allo stesso tempo, fatalistico nel considerare gli uomini come pedine di una volontà superiore e imperscrutabile. Una volontà che, per essere suadente, non ha bisogno neanche di vanitoso autocompiacimento. Le passioni contrapposte, le rivalità più feroci, le lotte per il mantenimento del potere sembrano non poter avere altro futuro che l'annientamento. Né potrebbe essere diversamente, visto che la storia dell'Opriknino Komjaga, e quella della Rus' (sottintesa madre e immanente contenitore "? «Della Russia? Che ne sarà?» Tace, mi guarda con attenzione. Aspetto trepidante. «Niente ? sarà» ?[pag. 105]"), ha reso asetticamente crudele il potere; lo ha privato di quella umanità che, oggi, una ormai sedimentata iconografia della necessità di una giustizia buona e giusta vorrebbe (dovrebbe) assegnare utopisticamente alla soggettività dell'uomo. Nel romanzo, quella crudeltà diventa anonima nella la sua inquietante ovvietà: è sufficiente prendere atto della acritica sudditanza a tecnologie cibernetico-informatiche che violentano il pensiero degli opriknik, sostituendolo con una sorta di performatività del progresso tecnico. La giornata di un opriknik, è un romanzo notevole. Per la struttura narrativa, per il linguaggio mai succube di un lessico colloquiale che potrebbe connotarsi più della preoccupazione per il lettore che della propria libertà di esplorare. Ma anche per la capacità di invenzione che rinnova la grande tradizione della letteratura russa, da Dostoevskij a Gogol.
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