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Un vero e proprio capolavoro, un libro bellissimo ambientato nella città di Nuoro, una città che è un "nido di corvi". Il racconto si sviluppa in un arco di tempo che va dalla fine dell'Ottocento a poco dopo la prima guerra mondiale. Il narratore, ormai vecchio, ritorna a Nuoro, la sua città natale, e decide di fare una visita al campo santo per incontrare e raccontare i personaggi che avevano costellato la sua vita: "lascio le ultime casette affacciate con indifferenza sul campo santo e mi trovo di fronte al luogo che è stato l'oggetto o la ragione del mio viaggio". E' una sorta di "Antologia di Spoon River" di Edgard Lee Masters. "Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita sino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale".
Bellissimo ritratto della provincia sarda di inizio '900. La storia racconta della famiglia di Don Sebastiano Sanna Carboni e dei vari personaggi che la circondano nell'arco di alcuni decenni (la descrizione finale della vita di Pietro Catte vale il prezzo del libro) Lettura non leggerissima
È solo nel giorno del giudizio che le anime delle persone si presentano così come sono, senza maschere o infingimenti. Ed è in una sorta di giudizio finale che Satta descrive l'umanità che popola la provincia nuorese, in un'atmosfera rarefatta e crepuscolare, presentandoci personaggi in una specie di fermo immagine: "ognuno di noi, anche se si limita a guardare in se stesso, si vede nella fissità di un ritratto, non nella successione dell'esistenza". Ecco allora sfilarci davanti tante esistenze, come Don Sebastiano Sanna Carboni, notaio e dunque testimone delle vicende patrimoniali dei suoi concittadini, sempre più ritirato in mezzo ai tomi rilegati degli atti dello studio, rimasto estraneo alla famiglia a cui aveva dato tutto se stesso ("dalla famiglia egli aveva preteso una cosa sola: che non lo disturbassero nella sua opera, e ciascuno quindi facesse il suo dovere, come egli l'aveva fatto"). E Donna Vincenza, la moglie di lui, sempre più sola in quella casa che diventerà la sua prigione, "inchiodata dall'artrite nel seggiolone sotto la pergola". E poi ancora i figli della coppia, e tutta quella congerie di figure, spensierate o disperate, astute o fataliste, raccolte attorno al tavolino del tresette al caffè Tettamanzi. Insomma un romanzo che è l'affresco di un'epoca, la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento, in cui l'autore si pone come testimone per raccontare e sottrarre se stesso e gli altri all'oblio, come in un giudizio finale. Voto 4,5.
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