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Scrivere un libro su Giotto è sempre arduo per la difficoltà di trattarne individualmente in un'epoca che tanto deve alla sua arte da renderla un carattere intrinseco, diffuso e difficilmente isolabile; in particolare su Giotto a Napoli, poi, la perdita dei monumenti sembrerebbe renderla un'impresa impossibile. Eppure, se in generale si dovrà ricomporre la storia del Giotto perduto, il Giotto a Napoli di Pierluigi Leone de Castris si candida ad alimentarne un capitolo cruciale.
Nato come ampliamento di ricerche ormai ventennali (è del 1986 il suo Arte di corte nella Napoli angioina), il volume si colloca nel più ampio alveo del magistero di Ferdinando Bologna che a Giotto e ai rapporti fra l'arte toscana e Napoli aveva dedicato pagine memorabili già in I pittori alla corte angioina di Napoli del 1969. Introdotta dalla rassegna delle testimonianze indirette offerte dalle fonti e dai documenti di pagamento (utilmente trascritti in appendice), la trattazione è organizzata per capitoli dedicati alle diverse imprese che occuparono Giotto e la sua bottega fra la fine del 1328 e il 1333.
Anche in risposta a recenti titubanze degli studi, l'autore riconosce nella celebrata decorazione di Santa Chiara la prima commissione cittadina, valorizzando il canale dell'ordine francescano che Giotto aveva fruttuosamente percorso ad esempio a Padova, oltre che ad Assisi e Firenze. La ricostruzione del programma, con le Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento, la Passione di Cristo e dell'Apocalisse, è rimarchevole per l'influenza figurativa che specie quest'ultima esercitò prima di essere coperta all'inizio del Seicento (a partire dalle due celeberrime tavole della Staatsgalerie di Stoccarda), nonché pretesto per una rilettura della propensione culturale e devozionale dei committenti in chiave francescano-gioachimita, che risulta suggestiva ancorché fiduciosa dei diretti effetti artistici di vicende storiche e personali.
Per le cappelle palatine il vaglio dei pagamenti (tutti a loro relativi) si coniuga con il censimento fotografico e critico dei pochi lacerti sopravvissuti alla ristrutturazione di Ferrante d'Aragona. Questi per un verso valorizzano la qualità dei collaboratori, fra i quali conferma un ruolo di spicco a Maso di Banco, per l'altro fanno riconoscere a pieno l'importanza della porzioni aniconiche nell'economia dell'opera e per il ruolo dell'ornato, "costante caratteristica della ricerca giottesca": si pensi ai festoni monocromi che lasciano cogliere "il peso sull'approccio di Giotto al naturale della tradizione classica" e ricordano già la precisa raffigurazione dei frutti del cesto della Caritas agli Scrovegni.
Il soggiorno di Giotto a Napoli si apprezza soprattutto dai suoi riflessi, come quelli della "cona" che dipingeva nel maggio del 1331 per una cappella palatina. Per essa l'autore intreccia i dati tratti dalle derivazioni e per via figurativa riconosce il soggetto in una Assunta nella forma della Dormitio-Coronatio Virginis, consentendogli così di dialogare con le sue altre macchine d'altare coeve, l'Incoronazione Baroncelli e il polittico di Bologna (negli ultimi anni al centro dalla discussione sul soggiorno che Giotto poté fare a Bologna negli ultimi anni napoletani per dipingere la cappella della reggia di Porta Galliera).
Al fine, il merito maggiore del volume è l'aver restituito la piena rilevanza che Giotto ebbe a e per Napoli, e averlo fatto per vie diverse a vari livelli, ovvero non soltanto per il censimento delle opere o la precisazione dell'origine di una scuola locale con il Maestro di Giovanni Barrile o Cristoforo Orimina. Nel complesso emerge infatti anche quanto quegli anni abbiano rappresentato per lo stile maturo di Giotto, fuso e cromatico dopo le imprese assisane della basilica inferiore; per la precoce codifica di un rapporto fra artista e sovrano che a partire dall'istituto della familiaritas si affermerà in tutte le corti europee da lì in avanti; per aver riconosciuto attraverso l'allestimento del ciclo degli Uomini illustri come siano state invenzioni figurative di Giotto a stabilire un tipo di rappresentazione profana di grande avvenire a uso propagandistico. Se in questo, prima che a Milano e a Firenze, già a Napoli Giotto faceva testo, è presumibile che questo volume lo farà per Giotto a Napoli. Alessio Monciatti
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