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scheda di Curatola, G., L'Indice 1990, n.10
Il padre teatino Cristoforo Castelli (Palermo, 1600-1659) fu missionario in Georgia fra il 1632 e il 1654. È la sua storia di "inviato speciale" in una realtà diversa, di intellettuale assai versato nella pittura, a esserci raccontata in questo bel volume, basato sulle carte, dipinte e non, conservate presso il Fondo Castelli della Biblioteca Comunale di Palermo. Il manoscritto era da noi poco conosciuto e più apprezzato semmai in Georgia attraverso la parziale pubblicazione, assai lacunosa, di Beigan Guiorgazze. Vengono ricostruite con filologica sagacia e certosina pazienza le vicende del personaggio che possono anche apparire singolari, ma che a ben vedere non lo sono; il Seicento è un secolo molto ricco di spunti interessanti per una storia delle relazioni fra occidente e oriente. Sono i georgiani a chiedere l'intervento di Roma con "un soggetto medico pittore ingegnere e ornato di... verté", soprattutto in chiave di salvaguardia dei monumenti, giustamente intesi come cemento per un'identità nazionale messa in discussione dai concomitanti assalti turco-persiani. Va da sé che gli scopi del missionario sono un po' diversi. La vicenda umana del Castelli si dipana con chiarezza nelle pagine del volume, tra una irrealizzata vocazione al martirio e mille difficoltà della vita quotidiana, come quella di essere considerato eunuco per rispettare il voto di castità, nonostante la proverbiale bellezza delle locali: "E così godiamo questa gloriosa infamia... " scrive il missionario. Artista (pittore-disegnatore) fa pitture in Georgia e schizzi al suo ritorno. Ma il fato crudelissimo disperde, pare in un naufragio nel 1656, il suo patrimonio di carte. Stanco, malato e anche deluso dalla fredda accoglienza romana, Castelli si ritira nella natia Palermo ove ricostruisce negli ultimi anni di vita i disegni della Georgia e scrive dei suoi ricordi. Conosce bene l'arte del suo secolo, principalmente attraverso le stampe, come testimoniano citazioni da Callot e Cesare Vecellio. Assai significativo l'incontro, a Firenze, con Stefano Della Bella, che ricopia alcuni suoi schizzi. Il commento di Bernadette Majorana è garbato, puntuale e ricco di riscontri e suggestioni soprattutto nella parte relativa alle immagini. Il volume fa ben emergere una figura certamente minore ma assai significativa di artista seicentesco, scrivendo un capitolo nuovo delle misconosciute relazioni con l'oriente.
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