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Fra i terreni di indagine delle rotture e delle continuità intercorse fra l'Italia giolittiana e il ventennio fascista, quello dell'amministrazione della capitale detiene un interesse particolare. Non solo per la centralità attribuita, nell'utopia totalitaria, ai progetti di ri/nascita imperiale, ma anche a causa della profonda riorganizzazione cui le istituzioni capitoline vennero sottoposte fin dagli anni venti: la creazione del Governatorato (1926) testimonia delle intenzioni di Mussolini di rilanciare ruolo e funzioni dell'Urbe ripensandone, in primo luogo, i rapporti con lo stato. Della gestione fascista di Roma, Paola Salvatori ricostruisce la parabola, a partire dalle figure dei governatori che si avvicendarono alla guida della città e dai programmi che ognuno di essi provò ad attuare nel corso del proprio mandato: il periodo di transizione del commissario regio Filippo Cremonesi (1923-1926); gli anni "riformatori" di Ludovico Potenziani (1926-1928) e di Francesco Boncompagni (1928-1935); la fase corporativa ispirata da Giuseppe Bottai (1935-1936) e quella del ritorno in auge della nobiltà romana impersonata dal principe Pietro Colonna (1936-1939), fino ai mesi della guerra, durante i quali l'operato del Governatorato impallidì a fronte delle emergenze belliche e, dall'autunno 1943, dell'autorità dell'occupante nazifascista. Nelle pagine del volume si avvicendano personalità e progettualità diverse, accomunate tuttavia dalle medesime difficoltà: l'incapacità di garantirsi spazi di gestione autonomi dai poteri centrali; un bilancio costantemente in perdita e insufficiente ad assicurare alla capitale risorse adeguate alla sua crescita demografica e territoriale; l'inadeguatezza a confrontarsi, in sintesi, con i processi di modernizzazione e le loro implicazioni specificamente metropolitane.
Maddalena Carli
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