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quello che effettivamente salta all'occhio è la "solitudine" del sottotitolo. infatti, le brillanti, tragicomiche e spesso surreali vicende dei racconti di Benni, si velano in questa raccolta di una patina di tristezza, di cinismo, quasi a voler sottolineare che l'umanità è imperfetta e ben lontana dal redimersi. secondo me un gradino sotto a "L'ultima lacrima" o alle altre raccolte di racconti ma comunque pieno di spunti
Un libro più crudo, più impegnato del "Bar sotto il mare". Sono davvero storie di solitudine e allegria. L'autore propone infatti riflessioni sui vari aspetti della vita, senza tuttavia essere mai lento o prolisso. Consigliato anche al pubblico giovanile
Primo approccio con Benni. Non mi è dispiaciuto. L'amarezza si può toccare con mano, l'allegria un po' meno. Avevo sentito dire grandi cose, che ho trovato solo in parte. Ho gradito la maniera di affrontare temi delicati come la solitudine, ma certe storie sono condite alla banalità, anche se per toccare aspetti importanti. Talvolta la prosa è artificiosamente ingenua.
Recensioni
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Un narratore apprezzato dal pubblico e dalla critica, che non smette mai di stupire per la lucidità e la sagacia con cui dipinge il reale, mascherandolo. Le pennellate vivide di Bar Sport e gli acquerelli de Il bar sotto il mare, ritornano e si mescolano in questa raccolta di racconti. La grammatica di Dio è un Vangelo laico e popolare, come quello di Matteo. Parla la lingua del mondo e contiene una serie di parabole in cui al Cristo e alla sua etica cattolica si sostituisce l'uomo e la sua etica mondana. I personaggi sono quelli tipici di Stefano Benni - un nonnino, uno scienziato, un terzino sinistro – e vivono nella sua realtà sommersa, fatta di mezzi toni e pensieri sommessi.
Un libro che si legge come se si osservasse attraverso il vetro di un acquario, con distacco e meraviglia. Si seguono le traiettorie e le evoluzioni di quel pesciolino, ma poi, distratti dal granchio sul fondale, si passa ad osservare un nuovo microcosmo. E così ci si ritrova a saltellare da una piccola storia all'altra, rapiti dalla sensazione di aver visto qualcosa di nuovo per la prima volta, qualcosa che in realtà stava lì da sempre. La magia di Stefano Benni sta senza dubbio nel linguaggio. Una prosa che utilizza il lessico come se fosse materiale di scarto, contorcendolo, forzandolo, trasformandolo in qualcos'altro. Uno scrittore che materialmente si serve della parola (la rende serva) per concentrare in un istante, in una sillaba, la complessità del reale, attraverso un processo induttivo - dall'universale al particolare – ma anche attraverso un'affascinante serie di associazioni libere. Il risultato è la meraviglia, la scoperta della Grammatica di Dio, l'intuizione di un ordine che travalica la mancanza di senso, capace di scremare il flusso confuso di informazioni tipico della contemporaneità.
Un processo che si compie attraverso la commistione di una serie di personaggi che fanno sorridere e riflettere, con la loro piccola umanità. In questo caso, però, si tratta del sorriso di colui che osserva una scena buffa o commovente e ricerca la complicità dell'amico che ha accanto, senza parlare, senza ridere: Benni trasmette ironia solo gettando il suo sguardo.
Ridere poco e in buona compagnia – si diceva – ma in questa raccolta la compagnia dei giocatori di "Pallastrada", o degli avventori del Bar, non c'è più. Ogni personaggio è solo, per un motivo o per un altro. I casi sono tutti emblematici e riflettono la varietà del mondo, dal vedovo al frate, dalla ragazzina ribelle all'imprenditore. Una umanità multiforme che continua a dilatarsi man mano che ci si inoltra nella lettura e che, inevitabilmente, finisce in qualche modo per comprendere anche noi. Il nostro istante di solitudine nel mondo, oppure la nostra vita quotidiana scandita da pause tra un "da fare" e un altro. Un libro che celebra quel momento magico in cui troviamo il tempo di voltare un'altra pagina, un tempo in cui scopriamo la grammatica del mondo, il Dio laico e umano incarnato nella parola.
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