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Dopo Le fedeltà invisibili, Delphine de Vigan prosegue il suo viaggio al cuore dei sentimenti, regalandoci un intenso romanzo a piú voci, scritto con quella grazia e quella delicatezza capaci di toccare le corde piú profonde del cuore.
«Il nuovo romanzo di Delphine de Vigan è un inno all'affetto, alla riconoscenza, a tutti quei sentimenti che ci legano gli uni agli altri. E che ci rendono umani» - Le Monde
Michka sta perdendo le parole. Ora che le lettere e i suoni si agitano nella sua testa in un turbinio incontrollabile, l'anziana signora deve arrendersi all'evidenza: ha bisogno di un nuovo inizio. Anche se questo significa scendere a patti con un'esistenza a metà. Nella casa di riposo in cui si trasferisce, a Michka rimangono le visite di Marie, un'ex vicina che da bambina passava molto tempo con lei, e le sedute settimanali con Jérôme, un giovane ortofonista che la aiuta a ritrovare le parole. Saranno proprio loro a permetterle di realizzare un ultimo, importante desiderio: dire «grazie» a chi, tanti anni prima, compí il gesto piú coraggioso. Quello che le salvò la vita. « Le gratitudini è un romanzo luminoso e commovente che sembra scritto con l'inchiostro "empatico"». Michka sta perdendo le parole. Proprio lei, che per tutta la vita è stata correttrice di bozze in una grande rivista, lei che al caos del mondo ha sempre opposto una parola gentile, ora non riesce piú a orientarsi nella nebbia di lettere e suoni che si addensa nella sua testa. E cosí adesso Michka vive in una residenza per anziani. A dire il vero, se non fosse stato per quelle parole birichine e qualche trascurabile intoppo nelle attività quotidiane, sarebbe rimasta volentieri nel suo accogliente appartamento parigino. Ma è meglio cosí: qui riceve assistenza continua, e poi non voleva che Marie, l'ex vicina a cui ha fatto da seconda madre, si preoccupasse tanto per lei. E allora biscottini, sonnellini, uscitine, passettini: Michka si piega, con una certa riluttanza, al ritmo fiacco delle giornate «da vecchia», alle stravaganze degli altri «resistenti», ai sogni infestati dalla temibile direttrice. Confinata nella sua stanzetta asettica, sempre piú fragile e indifesa, a Michka non resta che consolarsi con le visite di Marie e le chiacchierate con Jérôme, il giovane ortofonista che lavora nella casa di riposo. Il ragazzo, infatti, ha ceduto presto alla tenera civetteria della sua paziente discola – gli esercizi per il linguaggio «la sfioriscono» –, che vuole solo raccontare e farsi raccontare. A poco a poco, però, le parole si fanno piú rare, barcollanti, e, anche se non ha perso il senso dell'umorismo, Michka è consapevole di non poter deviare l'inesorabile corso degli eventi. Ed è proprio per questo che vorrebbe realizzare un ultimo, importante desiderio: ringraziare la famiglia che l'accolse durante la guerra e che di fatto le salvò la vita. Saranno Marie e Jérôme ad aiutarla, perché anche loro conoscono il valore inestimabile di un semplice «gratis», come direbbe Michka.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Storia corta e scorrevole, si legge davvero in poche ore. Ne risulta una lettura coinvolgente, che tratta di temi non leggeri ma, secondo me, potevano essere approfonditi meglio. Forse mi aspettavo qualcosa di più.
Spiace ma la storia era lenta i personaggi per me poco caratterizzati e tutto senza pathos né cambi di ritmo. Per fortuna il libro è breve e sono riuscita a finirlo altrimenti lo avrei abbandonato.
Scorrevole da leggere, carino anche se mi aspettavo quel qualcosa in più
Recensioni
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In un giorno uguale a tanti altri, un’anziana donna – la protagonista del più recente romanzo di Delphine De Vigan – si accorge di non essere più in grado di alzarsi dalla sedia in cui è seduta. A malincuore dovrà lasciare il suo appartamento di Parigi, trasferirsi in una casa di riposo e adattarsi ad una sorta di conto alla rovescia. Se non fosse che c’è un nodo che non riesce a sciogliere, e ha a che fare con la gratitudine. Per tutta la vita Michka, «una vecchia signora con un’aria da ragazza. O una ragazza invecchiata per sbaglio», ha fatto la correttrice di bozze, ha giocato con le parole, si è fatta sedurre dalle parole, ha dato un senso alla propria vita con le parole. E ora, quelle stesse parole sono diventate traditrici, insolenti, grame: sono le parole che sta perdendo e con esse la possibilità di dire grazie a chi si è preso cura di lei.
Nelle giornate tutte uguali, in cui imparerà a convivere con una vita ridotta al minimo: «ecco che cosa ti aspetta, Michka: passettini, sonnellini, merendine, uscitine, visitine. Un’esistenza sminuita, ristretta, ma perfettamente regolata», Michka sogna di avere tutte le parole a disposizione: «Le parole ci sono, come prima, non devo neanche cercarle, o sceglierle, o adularle, spuntano così, senza cerimonie, senza tante smancerie, non c’è bisogno di rabbonirle, catturarle, vezzeggiarle, no, ascolti bene, vanno e vengono in piena libertà, è bellissimo. […] Le dirò che ho fatto un sogno in cui le parole erano tutte lì, tutte, non avevo bisogno delle sue mappe, nè delle sue figure, nè delle sue liste, era tutto semplice come prima ed era così allegro, cosi dolce, capisce, mi stanca tanto cercare cercare cercare di continuo, è esasperante, estenuante, massacrante, non mi serve altro». Alle volte invece fa degli incubi, in cui una sedicente direttrice di una casa di riposo si prende la libertà di aggredirla, di svilirla, di deriderla per essere un’illusa, per non rendersi conto che il tempo è scaduto e non si può porre rimedio al passato.
Ciò che pesa come un macigno, nella vita di Michka, è proprio il passato. Dopo aver perso i genitori, deportati in un lager, non ha avuto modo di ritrovare chi si è preso cura di lei in quegli anni. La sua gratitudine per loro è immensa, ma la possibilità di esprimerla pressoché nulla. Michka può solo prendere atto di una “malattia” che allontana le parole da lei. Nel passato della donna c’è anche Marie, una giovane donna, sua vicina di casa, per la quale è stata come una seconda madre. Oggi è Marie a prendersi cura di lei e anche se le resta accanto, sente addosso tutta l’impasse cui è destinata la mente di Michka: «Contare, dovere, è così che si misura la gratitudine? Ma l’ho ringraziata abbastanza? Le ho mostrato abbastanza la mia riconoscenza? Sono stata abbastanza vicina, abbastanza presente, abbastanza assidua?». Non si rende conto Marie che la gratitudine è molto di più per loro, è il mezzo attraverso il quale i loro ruoli si scambiano vicendevolmente, prendendo sempre più confidenza con ciò che sono: Marie diventa una madre e Michka torna ad essere figlia; Marie può sentirsi ancora una volta figlia e Michka sentirsi finalmente madre: «Per la prima volta nella mia vita ho cominciato ad applicarmi di qualcun altro, voglio dire di qualcuno che non ero io. È questo che cambia tutto, sai, Marie. Aver paura per qualcun altro, qualcun altro che non sei tu».
E se c’è una cosa che Michka ha imparato, ora che è vecchia (come le piaceva chiamare gli anziani), è la gratitudine. Anche se ora che il contatto fisico con le altre persone è perduto, ora che non ha più la possibilità di esprimersi correttamente e per questo spesso desiste, oppure salta alla frase successiva, dopo tutto il tempo trascorso, Michka vuole dire grazie. Ed è la gratitudine che intreccia la sua esistenza a quella di Marie, a quella di Jérôme (l’ortofonista), perché è grazie a loro che gli ultimi ricordi non svaniranno nel nulla, perchè è grazie a lei che potranno riflettere sulle relazioni con gli altri, sugli irrisolti. Michka è molto di più di una “semplice” donna, che potrebbe stare seduta su una poltrona ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra. Michka è il privilegio della gratitudine, quella consapevolezza di non voler perdere ulteriore tempo, cercando il momento giusto, per ringraziare chi ci sta vicino.
Delphine De Vigan ha una scrittura decisiva e leale nei confronti del lettore, ne Le gratitudini (160 pagine, 17,50 euro), tradotto da Margherita Botto per Einaudi, lo esorta a guardare dentro l’esistenza di una donna che è stata determinata, indipendente e continua ad esserlo; leggeva Sylvia Plath, Virginia Woolf ed era ancora abbonata a “Le Monde”, abituata a leggerlo da cima a fondo, anche se ora guardava solo i titoli più grossi; gli chiede di guardarla svanire dentro alle parole che continuano ad accumularsi in testa, ma che hanno perso il loro significato, lo stesso che ha acquistato il suo sguardo. Raccontare la storia di Michka non è cosa facile, Delphine De Vigan sa che presto, oltre ogni singola lettera pronunciata, resterà la vera essenza: anche la più piccola gratitudine che possiamo sentire verso gli altri è mossa da un umano e sincero sentimento.
Recensione di Paola Zoppi
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