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Il fenomeno dei Gruppi di combattimento, che avrebbero inquadrato circa cinquantamila uomini, costituendo pertanto la parte più consistente dei reparti regolari attivi con gli Alleati nella guerra di Liberazione, non è stato indagato a sufficienza. Da questo libro scaturisce una serie di probanti indicazioni per approfondire una più comprensiva storia dei rapporti fra militari e Resistenza. Il saggio di Labanca va al di là del tema e richiama criteri che dovrebbero essere ormai patrimonio acquisito: "La ricerca storica non deve cedere alla retorica del discorso pubblico, come non deve cedere alla memoria". E aggiunge che la relazione "fra retorica e ricerca storica può (
) arricchirsi e complicarsi quando è ancora viva la memoria dei protagonisti". Non si può onestamente affermare che non continui spesso a regnare fra questi tre piani una nociva sovrapposizione. La memorialistica invade il campo e pretende di sottoporre a verifica i risultati della ricerca. Il giornalismo si sbilancia in uscite che ambiscono a una compiutezza storiografica. La storiografia non di rado dimentica che il suo fine non è quello di attualizzare il passato, ma di "tentare di comprenderlo, ricostruendone filologicamente le dinamiche e gli attori". Il caso dei volontari partigiani nei Gruppi di combattimento si trova nella posizione più scomoda. Secondo Labanca è corretto parlare di "Resistenza dei militari" più che di una compatta e univoca "Resistenza militare", mentre i rapporti, gli scambi e i contrasti tra istituzione militare e movimento partigiano dovrebbero essere approfonditi criticamente, con una spregiudicatezza in buona misura da conquistare: "La migliore ricerca sulla public history e sull'uso pubblico della storia non è quella che finisce per stendere il ricettario che ambisce a essere il manuale della retorica pubblica futura".
Roberto Barzanti
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