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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Secondo le prudenti stime del governo federale, la povertà assoluta negli Stati Uniti ha riguardato nel 2015 più di quarantatré milioni di persone, il 13,5 per cento della popolazione. Si tratta di coloro che non hanno un reddito sufficiente a far fronte alle esigenze minime della vita quotidiana. Elisabetta Grande usa le lenti della giurista per analizzare un fenomeno che ha assunto tratti macroscopici, e che è legato a quello, più generale, delle crescenti disuguaglianze sociali. La fase storica che coincide con l’esplosione della povertà negli Stati Uniti – il periodo successivo al 1973 – ha infatti visto la ricchezza nazionale triplicare e la produttività aumentare dell’80 per cento. Ma la crescita del reddito nazionale è andata a vantaggio di una fascia ristrettissima della popolazione. Il volume si concentra su quel particolare prodotto di cultura che è “la politica del diritto”, individuata quale motore essenziale delle dinamiche della povertà e della ricchezza negli Stati Uniti. Il sistema giuridico in tutte le sue articolazioni ha “un ruolo fondamentale sia nel produrre i poveri che nel perseguitarli”. Questa è la tesi centrale del libro. L’autrice è consapevole e mette in chiaro che la povertà è frutto “dell’intreccio tra mercato e diritto”. Tuttavia “il primo non potrebbe mai funzionare senza il secondo” ed “è il diritto che fornisce al mercato gli strumenti per funzionare”, che tutela le sue “dinamiche inevitabilmente predatorie” e non appresta “le dovute salvaguardie per i perdenti dei processi sociali” da esso innescati(…). Quello della povertà visibile nelle strade delle grandi città americane è un fenomeno abbastanza recente, che risale ai primi anni ottanta, e che si colloca all’intreccio tra la crisi delle politiche abitative pubbliche, la deregolamentazione del mercato degli affitti e i processi di gentrificazione. Dei senza-tetto il diritto si occupa prevalentemente per reprimere e disumanizzare, solo raramente per proteggere e offrire un sostegno. Profondamente calato nel contesto americano, il libro di Elisabetta Grande offre spunti preziosi anche per la realtà europea. In particolare, l’autrice si sofferma sull’impatto esercitato dai trattati di libero scambio sul peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e, quindi, sul nesso stretto tra dimensione globale e locale. In particolare, Grande dimostra che la scelta di liberalizzare i commerci senza prestare attenzione alle conseguenze sociali e ambientali non era inevitabile, ma rispondeva ad una precisa politica del diritto.
Recensione di Antonio Soggia.
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