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“Ciampi ha il merito di aver difeso il patrimonio del Risorgimento e della Resistenza dal martellante attacco revisionista, ma soprattutto quello di aver legato le origini resistenziali della Repubblica al progetto dell’Unione Europea, di un’Europa democratica e unita, di cui la sua generazione ha posto le fondamenta dopo le tragedie della guerra, ma che deve ancora progredire e affrontare sfide nuove e impegnative.”
Il 25 aprile 2005 ricorre il sessantesimo anno dalla Liberazione: alla luce di questa importante scadenza credo sia indispensabile (per evitare una celebrazione priva di contenuti) approfondire il significato e l’evoluzione di quel momento decisivo della nostra storia nazionale. Ben si adatta a questa utile riflessione il volume che viene qui proposto.
L’interessantissimo saggio di Focardi è strutturato in due parti. La prima analizza, con un approccio storicistico, la concezione e l’interpretazione della Resistenza dall’immediato dopoguerra agli ultimi anni. La seconda è una sezione documentaria che riproduce discorsi, articoli di quotidiani e riviste, o brani di interventi politici a partire dal 27 aprile 1945, a testimonianza e riprova dell’analisi fatta nella prima parte del volume. Oltre alle voci dei politici sono anche riportate le posizioni di vari “opinion leaders” per mostrare il ruolo dei mass-media nell’orientare il dibattito in questi sessant’anni.
Di certo quella, sviluppatasi all’interno dell’antifascismo più attivo nel dopoguerra, si configura come “narrazione egemonica”, ma sono esistiti ugualmente sia un insieme di memorie frammentate di singoli e di gruppi sia, parallelamente, una memoria pubblica della guerra con elementi di fondo condivisi dalle varie componenti antifasciste
Tutta la classe dirigente del dopoguerra voleva prioritariamente evitare una pace punitiva e per questo accolse pienamente i distinguo della propaganda alleata tra regime fascista e popolo italiano oppresso e tra fascismo e nazismo: nasce a questo scopo il mito del “bravo italiano” contrapposto al “cattivo tedesco” nei territori occupati.
Parte della sinistra aveva visto nella Resistenza solo una tappa di un processo rivoluzionario e, in ogni caso, si sentiva protagonista principale della guerra di liberazione. Iniziano così tensioni con ambienti della Democrazia Cristiana fortemente avversi al monopolio della memoria da parte della sinistra. In quegli stessi anni poi “vi era una certa assonanza tra l’appello alla pacificazione mosso dagli ambienti neofascisti in nome della retorica patriottica e lo spirito di riconciliazione che ispirava i politici democristiani.”
I valori della Resistenza (prezioso in questo senso il discorso di Gronchi del 1955) furono condivisi da gran parte dei cittadini italiani lungo tutti gli anni Sessanta, anzi si ebbe un rinnovato interesse soprattutto da parte delle giovani generazioni, interesse che culmina nel 1968 in un vibrante e particolare riferimento alla memoria della Resistenza: durante le manifestazioni del 25 aprile 1968 si ebbe una forte polemica anche contro la sinistra storica che aveva accettato un ”antifascismo tricolore” e unitario a cui veniva contrapposto un ”antifascismo rosso”.
La drammatica storia degli anni successivi, in cui si dovettero affrontare l’eversione di destra e il terrorismo brigatista, vide il Pci invocare lo spirito unitario (Berlinguer, 1975), la “solidarietà nazionale” di Moro e Berlinguer (1978) e una figura come quella del presidente Pertini, forte di un’immensa popolarità, celebrare con passione e ripetutamente la Resistenza, i suoi eroi, i suoi valori.
Mutato il quadro politico negli anni Ottanta si sono accese polemiche contro la memoria della Resistenza, sono stati portati alla ribalta in modo incalzante episodi in cui erano coinvolti partigiani comunisti (fatti che in realtà erano noti da tempo ma di cui si accusa la sinistra di colpevole silenzio), e si avvia un processo costante di edulcorazione di quello che era stato il fascismo: ecco il momento in cui nasce il “revisionismo storico”.
Gli anni Novanta hanno visto una forte spinta per una “nuova memoria storica pacificata” anche come conseguenza della nascita di partiti svincolati dall’eredità dell’antifascismo resistenziale (Lega Nord e Forza Italia) e della trasformazione del Msi in Alleanza Nazionale (nel 1994 Fini propone che il 25 aprile sia trasformato in “giorno della riconciliazione”). Si ha sempre più frequente una critica postfascista all’antifascismo, una vera offensiva sulla memoria: è infatti significativo che Berlusconi non abbia partecipato a celebrazioni pubbliche per il 25 aprile del 2002 e del 2004, e disertato la festa al Quirinale nel 2003.
Davanti al revisionismo storico è però sorta negli anni Novanta una mobilitazione a difesa della Resistenza, una rinnovata attenzione ai crimini nazisti (ad esempio è stato costituito il “Parco nazionale della pace a Sant’Anna di Stazzema”, fortemente voluto dal Presidente Ciampi) e si è avviata la consapevolezza della colpevole rimozione delle responsabilità belliche degli italiani, nascoste sotto il mito degli “italiani brava gente”. A rinvigorire questa coscienza sono state funzionali opere molto popolari come il volume La parola ebreo di Rosetta Loy e il film La vita è bella di Benigni. Importantissima poi la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi che è spesso intervenuto contro il revisionismo storico, che ha affermato il valore della Resistenza come “vera epopea popolare” inaugurando così un fervido “patriottismo costituzionale”.
A cura di Wuz.it
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