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Haiti è tornata sotto i riflettori dei media per la tragedia del terremoto del gennaio 2010: 300.000 morti, un milione e 300 mila senzatetto, danni pari al 120 per cento del Pil già modesto. Poi si è aggiunto il colera con le sue 4.500 vittime. E il fallimento prima della forza di stabilizzazione dell'Onu, poi dei soccorsi internazionali e infine anche della cooperazione. Questa antologia della collana "Narramérica" dell'Istituto italo-latino americano, diretta da Patricia Rivadeneira, nasce come contributo a non dimenticare i bisogni di Haiti, conoscendone meglio l'anima profonda e il talento artistico. Riunisce dodici narratori di sicura traiettoria, corrispondenti a tre generazioni e oltre mezzo secolo di evoluzione letteraria: Louis-Philippe Dalembert, Edwige Danticat, René Depestre, Manno Ejèn, Yanick Lahens, Kettly Mars, Jean-Euphèle Milcé, Stanley Péan, Anthony Phelps, Évelyne Trouillot, Lyonel Trouillot e Gary Victor. Scrivono nella lingua ereditata dai colonizzatori, il francese, o in quella quotidiana e vissuta, il creolo, ma anche in inglese, data la forte emigrazione negli Stati Uniti. Che poi è solo un volto della diaspora haitiana: prima o poi il milione di haitiani che vivono nella Repubblica Dominicana daranno il loro contributo, magari in spagnolo. Nel volume, impreziosito dai testi originali a fronte, troviamo erotismo e vudù, carnalità e introspezione, vendette familiari e scenari cosmopoliti, insieme a pagine che scendono nella cruda realtà delle baraccopoli, tra polizia corrotta e malavitosi. C'è perfino un piccolo perfetto noir urbano ambientato in Québec. È una finestra spalancata sulle storie, le emozioni e la creatività linguistica di un popolo sventurato e vitalissimo. Un ottimo modo per sentire meno la distanza con quella mezza isola, nella speranza che gli autori haitiani giungano sempre meglio qui da noi.
Danilo Manera
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