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Un viaggio tra i diversi linguaggi dell'audiovisivo e le modalità di interconnessione tra essi. Saggio per universitari, studiosi, ma anche semoplici appassionati, Pedullà sa descrivere con minuzia, ma allo stesso tempo comprensibilmente per un po' tutti, il percorso che l'immagine in movimento sta facendo attraverso i suoi fruitori e le nuove tecnologie.
Recensioni
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"Ho visto un film": questa frase, anodina in apparenza, corrisponde a significati molto diversi se a pronunciarla è uno spettatore del 1915, del 1950 o del 2008. Non soltanto perché ovviamente, da un periodo all'altro, sono cambiati i film; ma soprattutto perché l'esperienza dei primi spettatori, nelle sale dei music-hall o in baracche da fiera, differiva profondamente da quella dei fruitori del cinema classico nel "cubo opaco", cioè nella sala cinematografica quale venne configurandosi, "con il suo buio artificiale e le sue regole severe", tra il 1915 e il 1975. Né, d'altronde, la situazione attuale di chi si guarda un film sullo schermo del televisore o del computer somiglia a quella più costrittiva, ma anche emotivamente più intensa, dello spettatore novecentesco. Da Benjamin a Susan Sontag, da Bauman a Stanley Cavell, questo saggio avvincente dialoga con quanti si sono interrogati sulla condizione dello spettatore cinematografico. Al centro, un'intuizione feconda e innovativa: il "cubo opaco" altro non è che la realizzazione, tardiva ma straordinariamente perfetta, dell'utopia degli architetti rinascimentali, ansiosi di creare uno spazio scenico in grado di recuperare in contrapposizione alla drammaturgia medievale, a suo agio sui palchi dei saltimbanchi e sui sagrati "il teatro greco e romano come esperienza globale". La progressiva affermazione del "cubo opaco" parallela e quasi speculare a quella di un altro spazio modernista, l'asettico "cubo bianco" delle gallerie d'arte permette a questo saggio di raccontare la storia dello spettacolo novecentesco sotto un'angolatura nuova; in vista di una sistemazione storica del recente passato e di una riflessione lucida, senza frenesie postmodernistiche né nostalgie passatiste, sul presente ormai dominato dagli "individual media".
Mariolina Bertini
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