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Tosto, ma molto bello!
Nella quarta di copertina si legge che l'autrice e' traduttrice, dal tedesco (e di Bernhard). Si vede: scrittura tesa, drammatica, molto raffinata. Talvolta con un troppo di freddezza dovuta alla volonta' di ben scrivere. Ma per un primo libro, una vera meraviglia. Vero dolore, vero senso del destino e della narrativita' dell'umano star male. Una bella riuscita. Un libro da consigliare.
Recensioni
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La molteplicità dei passaggi, degli attraversamenti di confine, è quel che più colpisce nel libro di esordio di Anna Ruchat, che, nata a Zurigo nel 1959, insegna traduzione a Milano. Alla narrativa approda dopo aver coltivato la poesia e dopo una lunga esperienza di traghettatrice da una lingua all'altra, dal tedesco all'italiano, di autori come Thomas Bernhard, Paul Celan, Nelly Sachs e altri. Varca così uno dei confini della scrittura, passando da quella "mimetica" del tradurre a quella "propria", personale, unica. Unica è la scrittura di questi quattro racconti, ma affollata di voci provenienti da molteplici origini, volteggianti sopra un silenzio di cui anche gli spazi bianchi sulla pagina danno la misura. Parole rivolte ai morti, quei ""morti da tempo silenziosi e che forse non sono in ascolto"? Parole che arrivano dai morti? La barriera tra morti e vivi sembra abolita, anche se il dialogo con i morti è impossibile, così come del resto lo è, quasi sempre, la comunicazione tra i vivi.
È la morte degli altri quella con cui dobbiamo fare i conti "in questa vita". Lutto bianco è il racconto più crudele, la più spietata autopsia della separazione: due narrazioni diverse (io/lei, prima/dopo) si intrecciano intorno a un punto cieco, la morte di una bambina nel momento di venire al mondo, e sono entrambe focalizzate sul vissuto della madre. Ballata dei soldati senz'armi sgrana cinque storie diverse, narrate da una voce femminile – forse riconducibile a un unico soggetto – storie di maschi fragili, sconfitti rispettivamente dalla droga, dal suicidio, da un incidente, dal cancro. E altri lutti, altri sommersi e soccombenti troviamo negli ultimi due racconti: In questa vita e Spettri, dove operano costruzioni altrettanto sapienti.
È come se la forma breve del racconto non bastasse ancora all'autrice, ma richiedesse ulteriori frammentazioni, le più svariate, per riprodurre il paesaggio di rovine che la morte lascia dietro di sé. Ciascun pezzo ha una costruzione rigorosamente geometrica, basata su alternanze e ripetizioni. Alcune volte la ricerca della verità di un'esistenza è affidata al confronto tra voci diverse, come accade nel racconto In questa vita, dove si intrecciano i discorsi di due donne che hanno amato lo stesso uomo, le cui parole affiorano solo tramite brandelli di lettere. Altre volte, specie in Lutto bianco – forse proprio perché il lettore sta appena entrando in questo particolare universo – la fluttuazione dei pronomi all'interno del discorso rende arduo identificare immediatamente il soggetto che parla. Chi è io? Chi è tu? Chi parla e a chi, soprattutto, si rivolge? A una voce narrante spesso implicita, di incerta provenienza, fa eco infatti la presupposizione di una coscienza in ascolto, forse la figura stessa del lettore, un testimone, o una mano da tenere per addentrarsi in percorsi difficili.
Ed è proprio questo coinvolgimento di chi legge, difficoltà comprese, a creare quell'emozione che le parole non dicono. Severo e senza concessioni, il libro di Anna Ruchat ci costringe ad attraversare più volte "la linea del dolore" per poter accettare, "in questa vita", la vita. Così dice, alla pagina 65, una donna dolcissima: "È venuta a mancare una ragione di vita, non però la vita stessa, che continuavo ad amare".
Edda Melon
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