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Se non ti rimbocchi le maniche, lasciando a terra la volontà di riuscire in qualcosa che possa farti stare bene, anche la dignità ne risente. Se ce l'hai. Riempire le ore con quello che capita, senza spessore, gonfia soltanto il carico di incertezze. E quest'ultime hanno un peso enorme quando tutto è precario, in bilico, in movimento. L'esistenza ci mette dinanzi alle responsabilità che ci fanno crescere, capire come vanno le cose. Esse formano l'ossatura della nostra personalità. Evitarle comporta un ridimensionamento di aspetti caratteriali che potrebbero avere una valenza diversa. La mancanza di punti fermi annacqua addirittura il desiderio di cambiare. Sognarlo è un conto, impegnarsi per ottenere ciò che si vuole è un altro. Nel mezzo ci stanno tante cose, lassismo compreso. Piangersi addosso è inutile. Trovare, poi, delle scuse è vergognoso quando tutto dipende da noi. E pensare di vivere sulle spalle degli altri è inammissibile, anche solo come pensiero. Raggirare la gente per un tornaconto personale è un furto alla buona fede delle brave persone. Aiutare chi è in difficoltà è un gesto di solidarietà che accende una luce di speranza per continuare ad andare avanti. Non si può però affidarsi in toto alla generosità degli altri, ci si dovrebbe soprattutto aiutare da soli. Alzarsi e raggiungere i propri obiettivi, per ridurre le incertezze che fiaccano l'animo, dovrebbe essere la norma. In Incertezze di Matteo Della Rovere entri nella vita di un ragazzo, Sandro, che finisce in un intreccio di relazioni che non gli giovano. Roma, 1975. È estate, il caldo è torrido. Manca l'aria è anche la voglia, per Sandro, di trovare un lavoro. Lui non si sente come gli altri. Ha molte incertezze e le scelte di vita gli sono difficili, soprattutto quando subentrano dubbi e sensi di colpa.
Secondo alcune antiche credenze popolari, si diceva che la malinconia e l’ansia fossero solo ed esclusivamente il prodotto di un disturbo nato da un’eccessiva presenza di bile. Per l’appunto, fu Baudelaire che con la sua teoria impressa su versi, diede una spiegazione ben diversa a questo malessere che perdura di generazione in generazione. Addirittura gli dona anche nome, che a dir si voglia, potrebbe sembrare anche simpatico, ossia “Spleen”. Sei lettere nelle quali vi sono racchiuse una miriade di sensazioni e turbe psichiche atte a generare un profondo malessere. Ma la più grande domanda che mi pongo al momento è: da dove parte tutto questo? Dalla copertina si può cogliere solo in parte l’essenza decadente impressa nelle parole di Matteo, che come gocce d’acqua gelida si infrangono sull’asfalto per poi gelare come la galaverna d’inverno. Il dolore, quello dell’anima, delinea il topos dell’intera trama che si va a congiungere con il principio di causa-effetto. Sandro, il protagonista di quest’opera, è un giovane uomo piegato su sé stesso, che tenta in ogni modo di emergere dal magma nel quale è immerso fino al collo e dal quale pensa che non uscirà vivo. Tornando al concetto di causa-effetto, vediamo come Matteo Della Rovere inviti il lettore ad analizzare l’aspetto epistemologico (capire come poter stabilire la vera causa del malessere) e ontologico (conoscere la causa del malessere) del malessere di Sandro. Tutto questo forse potrà sembrarvi complesso e fuorviante, ma in realtà è molto più semplice di quello che credete. Miei cari booklovers, avete dinanzi a voi un romanzo psicologico che ha dell’incredibile, animato da un personaggio fortemente introspettivo. Un’anima nera in cerca di un pezzo di paradiso perché stanco di soffrire e sopperire invano. Alla ricerca di quell’equilibrio che possa liberarlo dal suo vivere le relazioni in modo frenetico e alquanto tossico. Un eterno purgatorio molto simile all’inferno e ben lontano dalla beatitudine.
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