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Juan Gabriel Vázquez (Bogotà, 1973) affronta in questo romanzo le insidie della memoria privata e collettiva, scandaglia le responsabilità di un'intera nazione e quelle dei singoli, scavando con una prosa puntigliosa e battente nella colpa che si trasmette di padre in figlio e che non viene stemperata dallo scorrere del tempo, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a ravvivare un ricordo attraverso le parole, dette a voce, scritte in un libro o vergate in una lettera.
L'impugnare la penna è vissuto come un atto di revisione degli sbagli commessi, un accarezzare la deformità di una ferita mai completamente cicatrizzata, in un tentativo estremo di espiazione: "Era questo il processo che mi premeva mettere per iscritto: le ragioni per le quali un uomo che ha sbagliato da giovane tenta di riparare il suo errore da vecchio, e le conseguenze che questo tentativo può avere su di lui o su coloro che lo circondano, soprattutto, sopra ogni altra cosa, le conseguenze che ha avuto su di me, suo figlio, l'unica persona al mondo che poteva ereditare i suoi errori, ma anche la sua redenzione".
Gabriel Santoro è un giornalista trentenne, morbosamente attratto dal fascino emanato dalle vite altrui. La sua ansia nel ricostruire fatti e nel raccogliere informazioni lacunose lo porterà a scrivere la biografia di un'amica di famiglia, Sara Guterman, un'ebrea tedesca fuggita in Colombia sul finire degli anni trenta per sottrarsi alle persecuzioni naziste. Il volume di Santoro riporta alla luce alcuni episodi oscuri della recente storia colombiana, tra i quali spiccano le "liste nere", elenchi redatti su ordine dell'intelligence statunitense, in cui venivano riportati in ordine alfabetico i nomi di cittadini provenienti dalla Germania o dall'Austria, ritenuti colpevoli di nutrire simpatie filonaziste, denunciati da anonimi delatori. Chi vi figurava veniva internato in un campo di prigionia e assisteva, impotente, alla confisca dei suoi beni da parte dello stato. Il libro scatena una reazione risentita del padre dello scrittore, uno stimatissimo ex avvocato e colto professore di retorica, il quale attacca duramente il figlio. Gabriel tarderà parecchio a comprendere i motivi del rancore paterno e lo farà soltanto quando il genitore morirà in un misterioso incidente d'auto e il suo passato comincerà a profilarsi con contorni sempre più precisi e ad assumere tinte cupe. Dalle nebbie del dopoguerra colombiano sorgeranno episodi di profonda amicizia, piccoli atti di generosità quotidiana e tradimenti ignobili, la figura sgangherata di un musicista tedesco maltrattato dal destino, l'odio e l'amore di un figlio incapace di perdonare e un presente che, per quanto avvezzo all'oblio, non riesce a scalfire la vergogna di un atto esecrabile e codardo.
A fare da sfondo all'intera vicenda vi è una Bogotà che intrappola, seducente e spietata, descritta con tocchi rapidi e incisivi, una città che diviene sineddoche della Colombia e della psiche dei personaggi al centro dell'azione. Juan Gabriel Vázquez è abile nel tessere, a partire da un caso circoscritto e da una manciata di avvenimenti, una narrazione che è al tempo stesso dissodamento storico e psicologico, un rivoltare documenti e coscienze condotto sul filo di un'ambiguità che intriga e suggerisce a mezza voce, lasciando che sia il lettore a tirare le somme. La scrittura dell'autore è versatile e acuta: può avere la forza di un grimaldello che scardina con violenza porte chiuse o la leggerezza di un'insinuazione che invita a spiare dal buco della serratura per distinguere nitidamente le miserie altrui, riflesso in fin dei conti delle proprie.
Simone Cattaneo
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